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Condizioni Economiche
Si. DLD Capital SCF offre il servizio di consulenza finanziaria per patrimoni di importo non inferiore ai 500.000€
Il valore della commissione viene calcolato in percentuale sul patrimonio oggetto della consulenza. Per patrimoni di dimensioni rilevanti la società si riserva di proporre un piano commissionale agevolato.
Il pagamento della commissione annuale di consulenza viene suddiviso in due rate semestrali ed è corrisposto anticipatamente.
In aggiunta alle comunicazioni previste per legge e ai regolari incontri con la clientela, DLD Capital pubblica un report settimanale in cui vengono analizzati, in chiave logico-statistica, i più recenti eventi economico-finanziari ed il loro impatto sui mercati finanziari.
Suggeriamo ai clienti di ritagliare un regolare spazio del loro tempo per la lettura del report settimanale: il documento è il risultato di un costante lavoro di analisi delle più recenti dinamiche osservate sui mercati. La disciplina sui mercati finanziari viene dalla fiducia e questa viene dalla costante analisi delle informazioni a nostra disposizione: un investitore informato ha una probabilità di successo decisamente maggiore rispetto a quella di uno meno consapevole.
Pianificazione Finanziaria
I criteri classici della consulenza finanziaria in Italia si basano sull’utilizzo di modelli di asset allocation di tipo statico, confezionati mediante l’offerta di un paniere di strumenti finanziari che vanno a configurare un portafoglio di base, il quale resta sostanzialmente lo stesso per un periodo di tempo indefinito.
In DLD riteniamo che l’asset allocation statica non sia sufficiente e che, a questa, sia necessario abbinare modelli di asset allocation dinamica: l’obiettivo è offrire l’opportunità di variare l’esposizione complessiva al rischio al variare delle condizioni di mercato, isolando gli specifici fattori di rischio delle asset class in portafoglio.
In aggiunta, riteniamo fondamentale disporre di specifici protocolli d’intervento a difesa del portafoglio, al verificarsi di specifiche condizioni di mercato. Ciò può comportare una temporanea sovraesposizione su strumenti finanziari tipicamente più difensivi ed una sottoesposizione alle asset class più rischiose.
Tutti i nostri modelli sono il risultato di rigorosa analisi quantitativa e si rifanno alla vasta letteratura esistente in materia di quantitative investing.
Il capitale investibile è frutto del lavoro e del risparmio accumulato nel corso degli anni e nessun investitore vuole trovarsi strategicamente impreparato di fronte alle flessioni dei prezzi che storicamente e ciclicamente si verificano sui mercati finanziari.
Utilizzare un approccio “compra e tieni” (c.d. buy and hold) ha senso solo se si riesce a restare investiti per il 100% della propria vita da investitore. Tuttavia, la storia dei mercati finanziari è costellata di periodi storici molto complessi: momenti in cui sarebbe stato molto difficile restare sereni semplicemente pensando che “nel lungo periodo i mercati si riprenderanno”.
Se guardiamo alle serie storiche, osserviamo come persino sull’S&P500, l’indice azionario americano che storicamente ha manifestato la maggior tendenza rialzista nel lungo periodo, si è assistito a correzioni molto profonde e che hanno prodotto notevoli riduzioni della ricchezza per quanti si fossero trovati pienamente investiti in quel momento.
Periodo (S&P500) | Drawdown* | Capitale iniziale ($) | Capitale finale ($) |
10/2007 – 3/2009 | -56.80% | 1.000.000 | 432.000 |
3/2000 – 10/2002 | -49.20% | 1.000.000 | 508.000 |
12/1973 – 3/1974 | -48.20% | 1.000.000 | 518.000 |
2/1968 – 5/1970 | -36.10% | 1.000.000 | 639.000 |
2/2020 – 3/2020 | -35.75% | 1.000.000 | 642.000 |
8/1987 – 12/1987 | -33.50% | 1.000.000 | 665.000 |
12/1961 – 6/1962 | -28.00% | 1.000.000 | 720.000 |
1/1980 – 8/1982 | -27.10% | 1.000.000 | 729.000 |
*La tabella ha carattere informativo. Il nostro approccio mira a limitare, e non ad eliminare, gli effetti di una correzione ciclica sui portafogli. Sebbene il nostro approccio si basi sull’analisi quantitativa delle serie storiche, non esistono garanzie sui mercati finanziari.
*Massima correzione dai massimi
Diversamente dall’approccio “compra e tieni”, l’applicazione di logiche quantitative, o Rules-Based, alle scelte di d’investimento, consente di disporre costantemente di strategie di mitigazione del rischio, da attuare al variare delle condizioni di mercato.
L’obiettivo non è conseguire rendimenti superiori agli indici di riferimento ma bensì contenere il rischio, non essere mai strategicamente impreparati di fronte alle fase di correzione e vivere più serenamente ogni fase di mercato.
“Investire nel lungo periodo è una buona idea se sei grande quanto una sequoia, una tartaruga gigante o una fondazione molto capitalizzata, ma gli individui non hanno un orizzonte di venti anni per riprendersi dalle grandi flessioni dei mercati”
(The Ivy Portfolio: How to invest like the top endowments and avoid bear markets di Mebane T. Faber e Eric W. Richardson)
La diversificazione è il primo strumento di mitigazione del rischio per l’investitore. Tuttavia, è storicamente provato come, oltre una certa soglia di strumenti in portafoglio, l’effetto complessivo di mitigazione del rischio diventa marginale.
L’inclusione di ulteriori strumenti finanziari in portafoglio, in assenza di comprovata verifica della capacità degli stessi di migliorare il profilo di rischio dello stesso, è non solo inutile ma potenzialmente incredibilmente dannosa, se inserita in una logica di portafoglio c.d. “compra e tieni”.
Se escludiamo gli strumenti che storicamente presentano il maggior “bias” rialzista, come ad esempio alcuni indici azionari globali, la gran parte degli strumenti finanziari non hanno la tendenza a salire nel lungo periodo. Basti osservare la performance dell’indice italiano FTSE MIB nel periodo 2004 – 2021:
Di fronte ad una flessione come quella della recessione 2008 – 2009 non avrebbe avuto alcun senso attendere una ripresa dell’indice: una ripresa che non si è mai verificata e che avrebbe lasciato l’investitore con una perdita durevole di valore ed un capitale che negli anni successivi non ha generato alcun rendimento. Le medesime considerazioni si possono estendere ad una larga serie di strumenti come azioni, obbligazioni e materie prime.
Persino l’indice S&P500, nonostante la sua storicamente comprovata forza rialzista, in diversi periodi storici è andato incontro a correzioni significative, impiegando anni a tornare sui livelli pre-correzione. Il grafico sottostante è l’S&P500 nel periodo 2000 – 2013. Qualora un investitore avesse allocato il suo capitale sull’indice americano nel Marzo del 2000, avrebbe avuto la possibilità di recuperare pienamente il suo capitale dopo otto anni, salvo poi andare incontro ad un’altra correzione e recuperarlo definitivamente ad Aprile del 2013. Tredici anni per recuperare il proprio capitale iniziale e nessun rendimento.
L’alternativa? Investire in quelle logiche di asset allocation, sia statica che dinamica, che negli anni hanno dimostrato di performare al meglio, includere in portafoglio solo gli strumenti che alla prova dei fatti migliorano il profilo di rischio complessivo del portafoglio, riducendone la volatilità, ed isolare i singoli fattori di rischio del portafoglio, gestendone i riflessi nelle diverse fasi di mercato.
I risultati straordinari naturalmente attraggono attenzione, ma gli osservatori più attenti sanno che il vero segreto del grande successo finanziario della fondazione di Harvard si chiama difesa, difesa e ancora difesa. Ma come, potreste chiedervi, può la sola difesa essere così centrale nel raggiungimento di risultati finanziari così straordinariamente positivi? Partendo dalla storica verità sul successo nel campo della finanza, ossia che quando semplicemente eliminiamo le perdite più rilevanti i risultati vengono da soli, dobbiamo sempre tenere a mente l’importanza dello stare lontano dai guai.
(Charles Ellis, Presidente del Comitato Investimenti, Università di Harvard)
No. Trading ed investing sono due attività profondamente diverse: entrambe utilizzano l’analisi quantitativa come primo strumento di analisi ed approfondimento ma le logiche operative, di costruzione e di gestione dei portafogli sono del tutto diverse. Sfruttare logiche dinamiche di costruzione di portafoglio non implica in alcun modo entrare ed uscire costantemente dal mercato.
Generare rendimenti significativi in mercati rialzisti senza avere una strategia per gestire mercati ribassisti è il più grave degli errori e può portare a distruggere in pochi mesi quanto guadagnato nel corso degli anni.
L’effetto dell’interesse composto (c.d. compounding) è un principio matematico che funziona tanto nella crescita del capitale quanto nella sua erosione.
Supponiamo di avere due portafogli: il primo opera secondo un logica “compra e tieni”, mentre il secondo unisce ad un asset allocation statica una serie di protocolli di asset allocation dinamica, al fine di gestire con buona flessibilità le diverse fasi di mercato:
Portafoglio 1* |
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Anno | Capitale iniziale ($) | Rendimento | Capitale finale ($) |
1 | 200.000 | 20.00% | 240.000 |
2 | 240.000 | 15.00% | 276.000 |
3 | 276.000 | 15.00% | 317.400 |
4 | 317.400 | 20.00% | 380.880 |
5 | 380.880 | -35.00% | 247.572 |
*Scenario ipotetico a scopo illustrativo
Portafoglio 2* |
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Anno | Capitale iniziale ($) | Rendimento | Capitale finale ($) |
1 | 200.000 | 10.00% | 220.000 |
2 | 220.000 | 7.50% | 236.500 |
3 | 236.500 | 7.50% | 254.238 |
4 | 254.238 | 10.00% | 279.661 |
5 | 279.661 | -5.00% | 265.678 |
*Scenario ipotetico a scopo illustrativo
Possiamo osservare che il portafoglio 1 ha realizzato una performance doppia rispetto a quella del portafoglio 2 per quattro anni consecutivi. Nel quinto, tuttavia, la gestione attiva del rischio ha consentito al portafoglio 2 di difendersi meglio e ridurre la perdita complessiva, al contrario di quanto avvenuto per il portafoglio 1, che è impostato in una logica di asset allocation statica. Al termine del quinto anno, il portafoglio 2 avrà non solo sperimentato una minor volatilità complessiva nell’arco dei cinque anni ma avrà anche conseguito un risultato superiore in termini di rendimento assoluto.
Troppo spesso ci si dimentica che il principio dell’interesse composto è un arma a doppio taglio: può operare tanto a nostro favore nelle fasi di rialzo quanto a nostro sfavore in quelle di ribasso.
Questo semplice esempio spiega perché conseguire una performance superiore al benchmark è un obiettivo poco rilevante per l’investitore mentre, ai fini della costruzione e preservazione del capitale, ben altra rilevanza assume avere una strategia di contenimento delle fasi di correzione.
Il nostro cliente tipicamente dispone di un buon capitale accumulato negli anni ed è interessato a proteggerlo dai momenti di inevitabile fragilità dei mercati finanziari, pur volendo partecipare alle lunghe fasi di rialzo che storicamente si osservano sugli stessi.
In aggiunta, egli riconosce l’importanza di avere una corretta impostazione d’investimento per il proprio patrimonio e, al contempo, di disporre sempre di uno o più linee d’intervento sul suo portafoglio in presenza di un mutato scenario di mercato: una opportunità che un sistema di private banking centrato su modelli di asset allocation statica non può offrire.
In linea con quanto previsto dalla legge, il cliente viene classificato rispetto al suo profilo di rischio, al fine di valutare l’adeguatezza delle soluzioni d’investimento proposte.
Una volta definito il quadro di asset allocation strategica rispetto al quale viene costruito il portafoglio, il cliente viene informato di quelle che potrebbero essere le principali soluzioni di aggiustamento tattiche che potrebbero essere proposte, al variare delle condizioni di mercato.
In ogni caso, qualsiasi proposta di cambiamento dell’asset allocation avviene nella logica di ridurre il rischio del portafoglio, o di riportarlo alla sua condizione iniziale. Ogni proposta è quindi sempre in linea con la propensione al rischio del cliente stesso, sulla base delle informazioni rilevanti ricevute dalla società all’inizio dell’instaurazione del rapporto.
Il cliente viene ovviamente messo nella condizione di selezionare strumenti finanziari nell’ambito di un universo d’investimento molto ampio.
Nell’ambito di quest’offerta viene operata una distinzione tra strumenti che storicamente sono fonti di redditività (c.d. growth-oriented assets) e strumenti difensivi (c.d. conservative assets). I primi diversificano sul comparto azionario, per settori e aree geografiche, sulle materie prime, sia singole che su basket delle stesse, e su ETF obbligazionari corporate. Diversamente, gli strumenti difensivi includono ETF obbligazionari governativi, metalli preziosi, strumenti di mercato monetario e liquidità.
Storicamente, abbiamo anche osservato fasi di mercato in cui strumenti rischiosi (azioni) e strumenti difensivi (obbligazioni governative) si sono mossi in maniera fortemente correlata: per questo la definizione di due grandi famiglie di strumenti finanziari, rischiosi e difensivi, consente di avere sempre delle opzioni a seconda delle fasi di mercato, indipendentemente da singoli, magari temporanei, aumenti di correlazione tra singoli strumenti.
Al di là della retorica su quanto sia necessario avere la giusta mentalità per investire sui mercati finanziari, è indubbio che un certo grado di forza mentale sia necessario per vivere serenamente le diverse fasi sui mercati.
Lo studio e la ricerca sugli strumenti finanziari e sulle logiche operative di gestione del capitale sono la base imprescindibile da cui partire ma la disciplina è il terzo pilastro senza il quale nessun piano d’investimento può funzionare.
La disciplina è fondamentale non solo nelle fasi complesse di mercato ma anche in quelle molto costruttive. L’illusione del controllo o l’avidità possono spingerci a ridurre la diversificazione di portafoglio o, ad esempio, a saltare un ribilanciamento di portafoglio: “in fondo, questa posizione (titolo, ETF o qualsiasi altro strumento) sta andando così bene, perché devo vendere? Perché non investire ancora un po’?”
L’analisi quantitativa serve a rimuove larga parte della discrezionalità delle nostre scelte, ricordandoci l’importanza di un approccio strutturato alla gestione del capitale, ma solo l’esercizio della disciplina fa di noi degli investitori razionali e di successo.
DLD Capital mette a disposizione del cliente una vasta selezione di strumenti finanziari sulla base di logiche che ne valutino soprattutto l’opportunità in termini di costo, performance storica, volatilità e grado di correlazione con i mercati di riferimento: certamente consideriamo singoli titoli, azionari o obbligazionari, e fondi comuni d’investimento. Tuttavia, è indiscutibile che gli ETF negli anni siano diventati nel tempo uno strumento la cui flessibilità operativa è seconda solo a quella dei futures.
In aggiunta, gli ETF offrono un vantaggio notevole sul piano della diversificazione, in particolare con riferimento agli investimenti sul settore dei titoli a bassa capitalizzazione (small caps) e su quello dei titoli obbligazionari speculativi (high yield).
Sul primo fronte, i titoli a bassa capitalizzazione possono contenere un forte rischio specifico ed un errata valutazione del titolo sul piano fondamentale può portare perdite significative e difficilmente recuperabili. Lo stesso titoli inserito in un ETF avrebbe un impatto decisamente più limitato sul portafoglio. Sul secondo, il vantaggio dell’ETF è ancor più significativo: i titoli obbligazionari speculativi possono andare incontro a forti crisi sul piano della liquidità e a perdite di valore tra l’80% ed il 100%, nel caso di fallimento della società. Persino un evento estremo di questa dimensione diventa molto gestibile nel complesso di uno strumento altamente diversificato come un ETF.
Un portafoglio viene sempre costruito in funzione della propensione al rischio del singolo cliente, in linea con quanto previsto dalla normativa Mifid, che prevede una verifica di adeguatezze delle soluzioni d’investimento proposte. Il nostro modello di asset allocation è strutturato propriamente per poter riflettere in maniera più dinamica e granulare la propensione al rischio dell’investitore, in particolare mediante la quantificazione di parametri che possono essere definiti, ed eventualmente aggiornati, in relazione alla propensione al rischio del cliente.
La grande maggioranza dei modelli di robo-advisory sono strutturati nella forma di una replica di modelli di asset allocation statica, con operazioni di ribilanciamento delle posizioni che avvengono ad intervalli regolari, indipendentemente dalle fasi di mercato.
Al contrario il nostro modello di consulenza, in primis, è strutturato in modo da potere cogliere con maggior grado di dettaglio le necessità del cliente. Secondariamente, i nostri modelli prevedono l’adozione di specifiche modalità di intervento di mitigazione del rischio di portafoglio al mutare delle condizioni di mercato.
Nell’esempio sottostante si può osservare il confronto tra un portafoglio di ETF obbligazionari, costruito con una logica rotazionale che ottimizza i pesi dei singoli ETF in relazione alla volatilità degli ultimi tre mesi, ed il suo benchmark, un ETF obbligazionario governativo con duration compresa tra 15 e 30 anni. Su un orizzonte di circa 14 anni (2007 – 2021) possiamo osservare come portafoglio sovraperformi per un lungo periodo il benchmark ma, soprattutto, presenti una volatilità nettamente inferiore: nello specifico la deviazione standard del portafoglio sul periodo considerato è pari al 3.9% annuo, mentre quella del benchmark è pari al 9.8%. In termini di remunerazione del rischio, il portafoglio batte il benchmark sotto tutte le metriche di riferimento (maximum drawdown, Sharpe Ratio, deviazione standard e rapporto tra profitto e maximum drawdown).
Una miglior remunerazione del rischio assunto si traduce in due vantaggi immediati: in primis, in una minor oscillazione del portafoglio a parità di rendimento e, secondariamente, una limitazione del rischio di effettuare riscatti dalla posizione in momenti in cui la stessa è in forte sofferenza. In questo senso, il confronto grafico è molto chiaro.
*Scenario ipotetico a scopo illustrativo. Capitale iniziale: $1.000.000. Questo backtest non considera l’impatto dei costi di transazione. Le performance passate non sono indicative dei risultati futuri.
Consulenza finanziaria integrata
Le Società di Consulenza Finanziaria, o SCF, sono società autorizzate a svolgere la consulenza in materia di investimenti senza detenere fondi o titoli, i quali restano nella esclusiva disponibilità dei clienti. Possono assumere la forma giuridica di società per azioni (S.p.A.) o di società a responsabilità limitata (S.r.l.).
Il presupposto della loro attività è la regolare iscrizione all’albo dell’Organismo di Vigilanza e tenuta dell’albo unico dei Consulenti Finanziari (OCF), in presenza di specifici requisiti di professionalità, onorabilità, indipendenza e di precisi requisiti patrimoniali.
La società di consulenza finanziaria viene remunerata esclusivamente dai clienti per conto dei quali svolge la consulenza in oggetto e gli è espressamente preclusa qualsiasi forma di beneficio e/o onorario da un soggetto diverso dal cliente (c.d. modello a “parcella”)
In misura maggiore rispetto a quanto si osserva in altri paesi europei, gli investitori italiani sono penalizzati da un’industria del risparmio gestito ancora fortemente concentrata nell’offerta di prodotti c.d. a “gestione attiva”. Questi prodotti presentano un profilo di costi decisamente significativo, come evidenziato dal report della European Securities and Market Authority (ESMA) nel 2020: Performance and Costs of Retail Investment Products in the EU.
Il report evidenzia il maggior costo applicato sugli investitori al dettaglio rispetto a quelli istituzionali per i prodotti azionari ed obbligazionari:
Parimenti l’analisi evidenzia l’incapacità di questi prodotti di giustificare i costi con le performance generate:
“Concentrandosi sulla distribuzione e la dispersione dei costi, indipendentemente dal tipo di gestione, questi non corrispondono a performance più elevate, ossia non si osserva alcuna correlazione tra costi del fondo e la sua performance. Per i fondi azionari attivi, i costi sono stati in media tra l’1% e il 3%, indipendentemente dalla performance annua lorda”.
Sul piano geografico, il report evidenzia inoltre come l’Italia sia uno dei paesi meno competitivi sul piano dei costi:
“Indicativamente, tra le giurisdizioni sono osservabili differenze in termini di livelli di costo per lo stesso tipo di canale distributivo. Ad esempio, concentrandosi sui fondi azionari, i distributori bancari addebitano costi più elevati in Italia e Grecia, rispetto a Finlandia, Malta o Slovacchia…. In media in Italia i costi sembrano essere più alti nel confronto con gli altri dodici paesi per i quali sono disponibili i dati”.
Lo stessa ricerca evidenzia la costante crescita degli ETF, ossia di prodotti ad indicizzazione passiva, i cui costi si aggirano intorno allo 0.1% – 0.3% annuo.
Gli ETF sono strumenti che replicano passivamente l’andamento di uno strumento finanziario e, oltre a presentare un profilo di costi di circa l’80-90%% inferiore rispetto ai prodotti attivi, consentono una flessibilità operativa all’investitore impensabile con molti prodotti attivi.
In conclusione, al netto della parcella da riconoscere alla SCF, il ricorso ad una serie di prodotti più efficienti, che comprende ma non si limita agli ETF, consente al risparmiatore di conseguire da subito risparmi netti molto significativi in termini di costo di gestione del portafoglio.
Se questa volta è diverso
Se nella vita coltivare il dubbio è un esercizio consigliabile, sui mercati finanziari questa pratica va portata ai limiti dell’ossessione: in assenza di certezze, i mercati si muovono in termini di probabilità ed ogni analisi deve essere condotta tenendo conto di questo stato di cose, senza tuttavia scadere in quella che viene definita “paralysis by analysis”, ossia nell’incapacità di assumere decisioni.
Ripartiamo da quello che già la settimana passata avevamo identificato come il dato più significativo di questa fase di mercato. La flessione sul mercato obbligazionario prosegue (-11% da inizio anno, massima correzione dal 1980) e l’ETF iShares iBoxx Investment Grade Corporate Bond da diverse sedute ha rotto al ribasso la media mobile a 200 settimane, una circostanza verificatasi solamente in altre due circostanze negli ultimi 20 anni: nell’ottobre 2008 e nel marzo 2020.
Il rendimento dell’S&P500 nei mesi immediatamente successivi è stato decisamente diverso: nel 2008 abbiamo assistito alla correzione più profonda dal 1929, mentre nel 2020 abbia osservato il più rapido ritorno sui massimi dell’indice, in soli 4 mesi, dopo una correzione superiore al 30%. La domanda nella mente di tutti è dove ci troviamo oggi nel quadro di questi due scenari estremi, consapevoli che un approdo dell’S&P500 sulla media mobile a 200 settimane implicherebbe, da questi livelli, una flessione di circa il 19%.
La scorsa settimana è stata caratterizzata dalle dichiarazioni di Jerome Powell circa le prossime scelte di politica monetaria e dal nuovo dato sull’inflazione americana, arrivato all’8,5% nel mese di marzo. Ad oggi il Fed Fund Effective Rate, ossia del tasso di riferimento al netto dell’inflazione, è arrivato ai minimi di sempre, ben al di sotto del 5,4% del 1975: le parole di Powell circa la necessità di accelerare il processo di normalizzazione della politica monetaria non possono quindi arrivare come una sorpresa.
Con la necessità da parte della Fed di normalizzare rapidamente la sua politica monetaria e con i rendimenti dei Treasuries che da tempo riflettono un quadro monetario profondamente mutato, è legittimo interrogarsi circa la sostenibilità del debito, tanto a livello delle aziende quanto a quello delle famiglie. Recentemente, Goldman Sachs ha pubblicato una ricerca sul comparto obbligazionario, sottolineando come la sostenibilità del debito per le aziende sia migliore oggi che in confronto ad altri cicli economici.
Il dato in sé è ragionevole, se consideriamo che le condizioni finanziarie straordinariamente positive hanno consentito a tutte le aziende di gestire nel modo migliore la propria esposizione debitoria. Il quadro è lievemente differente per le famiglie, dove la capacità di servire il debito esistente potrebbe deteriorarsi rapidamente, all’aumentare dei tassi d’interesse.
Da diverse settimane sottolineiamo come l’attuale quadro economico sia caratterizzato dalla compresenza di crescita economica solida, sia pure al netto delle recenti revisioni al ribasso delle stime, di uptrend dei prezzi delle materie prime e dei tassi d’interesse. Storicamente questo tipo di condizione non è favorevole per i mercati azionari ma il nostro obiettivo, come sempre, è valutare il grado di probabilità che una condizione simile si verifichi e, soprattutto, che tipo di riposta formulare sui portafogli dei nostri clienti.
Una delle prime considerazioni che possiamo formulare, nel quadro della verifica delle correlazioni tra strumenti finanziari, è che le fasi di sovraperformance delle materie prime rispetto al mercato azionario, per semplicità qui rappresentato dall’S&P500, possono durare anni. Nello specifico, nel grafico sottostante osserviamo come i due grandi cicli di maggior forza relativa delle materie prime rispetto all’azionario vanno dal luglio 1968 al settembre 1974 e dal maggio 1999 al giugno 2008. Non casualmente, queste fasi corrispondono ad importanti cicli rialzisti delle materie prime, accompagnate da notevole instabilità dell’indice azionario americano.
Una seconda considerazione circa l’attuale stato delle cose ci viene dalla performance del cross valutario USDJPY, tornato sui massimi dal 2002, e che chiaramente evidenzia come gli investitori, indipendentemente dal sentiment di risk-on/risk-off, siano alla ricerca di valute che abbiano la capacità di remunerare il costo del capitale investito.
In sostanza, al passare del tempo il quadro di instabilità sui mercati azionari sembra accentuarsi, a fronte della possibilità di trovare copertura dall’inflazione mediante altri strumenti, materie prime in primis: è la natura mutevole dei mercati finanziari e la ragione per cui restare massimamente flessibili è, non da oggi, la sola scelta a disposizione di ogni investitore.
Paradossalmente, la maggiore complessità, sul piano delle scelte da operare, viene dal mercato azionario, che ha finora mostrato segnali di tenuta, a fronte di un drawdown massimo che ad oggi resta ancora confinato al minimo di febbraio scorso. Ciononostante, l’assenza di forza del comparto tecnologico, ed un dividend yield che oggi è pari alla metà del rendimento del Treasuries USA (1,37% vs 2,91%), non prefigurano un quadro di opportunità adeguatamente interessante per molti investitori azionari.
Sul piano delle valutazioni, in termini di multiplo prezzo utili (P/E) siamo tornati sui livelli di febbraio del 2020, in una condizione che evidenzia come il mercato abbia scontato già gran parte della crescita economia futura, riportando gli investitori in una condizione di neutralità rispetto ai prezzi attuali.
Tuttavia, sul piano della dinamica degli indicatori di sentiment si osservano livelli di pessimismo generalmente associati a potenziali livelli di bottom del mercato. Nel grafico sottostante si osserva la dinamica dell’S&P500 e dell’indicatore dato dal rapporto tra investitori ottimisti e pessimisti dell’American Association of Individual Investors. Negli ultimi 24 anni una percentuale di investitori ottimisti al di sotto del 25% ha corrisposto a significativi minimi di mercato, tranne in due eccezioni: 2002 – 2003 e 2008 – 2009.
Un contesto di ipervenduto sugli indicatori di sentiment viene anche dal Nasdaq, dove un 30% di titoli che scambiano al di sotto della media mobile a 200 settimane è generalmente associato a un minimo significativo. Anche in questa circostanza l’eccezione viene dalla crisi del 2008 – 2009.
Le conclusioni sono ovvie: gli internals del mercato, al pari di qualsiasi altra analisi, descrivono un quadro parziale e mai soggetto ad un’unica interpretazione. Come sempre, i mercati vivono di scenari probabilistici che si muovono in funzione di un quadro in evoluzione. Oggi evidentemente le probabilità di un’estensione del ribasso sui mercati azionari sono maggiori rispetto alle settimane precedenti e se dovessimo entrare in un downtrend degli indici azionari, il ricorso allo studio degli indicatori di sentiment dovrebbe farsi progressivamente sempre più cauto: la loro significatività è alta quando identificano minimi e massimi di periodo nell’ambito di un trend, ma lo sono molto meno quando devono identificare delle inversioni di trend, ad esempio da ribassista a rialzista. Come analisti e consulenti, il nostro compito resta sempre quello di adeguare la nostra esposizione al quadro di riferimento.
Nel grafico sottostante confrontiamo la correzione attuale dell’indice americano con quella partita a giugno 2000 e quella che parte dai massimi di luglio del 2007. In tutte e tre le circostanze l’indice ha rotto il fascio di medie mobili a 50, 75, 100, 150 e 200 giorni. Dalla generazione di questo segnale, nel 2003 l’indice perse circa un ulteriore 42% mentre nel 2009 l’indice perse circa il 50% .
La rottura al ribasso di un fascio di medie mobili è un concetto semplice ma che ci pone di fronte una sfida significativa: comprendere se, e in che misura, lo scenario attuale possa mutare in qualcosa di simile a quanto in passato già osservato. Ad oggi non siamo ancora in questa condizione ma, come sempre, il nostro lavoro non è interpretare gli eventi, né prevederne le relative evoluzioni, quanto piuttosto reagire in conseguenza all’evoluzione dei fatti.
L’unico momento in cui sei realmente diversificato è quando detieni assets che non vorresti detenere – Peter L. Bernstein
Disclaimer:
Questo documento assume natura educativa e non può essere considerato attività di consulenza finanziaria indipendente. L’autore o DLD Capital SCF S.r.l. non sono responsabili delle decisioni che potrebbero essere intraprese a seguito della lettura di questo articolo. Prima di assumere scelte d’investimento, suggeriamo di rivolgervi ad un consulente finanziario iscritto all’Organismo di vigilanza e tenuta dell’albo unico dei consulenti finanziari (www.organismocf.it).