Sede Legale: Viale Parioli 112, 00197 Roma Telefono: 0692915064 Email: info@dldcapital.it
Condizioni Economiche
Si. DLD Capital SCF offre il servizio di consulenza finanziaria per patrimoni di importo non inferiore ai 500.000€
Il valore della commissione viene calcolato in percentuale sul patrimonio oggetto della consulenza. Per patrimoni di dimensioni rilevanti la società si riserva di proporre un piano commissionale agevolato.
Il pagamento della commissione annuale di consulenza viene suddiviso in due rate semestrali ed è corrisposto anticipatamente.
In aggiunta alle comunicazioni previste per legge e ai regolari incontri con la clientela, DLD Capital pubblica un report settimanale in cui vengono analizzati, in chiave logico-statistica, i più recenti eventi economico-finanziari ed il loro impatto sui mercati finanziari.
Suggeriamo ai clienti di ritagliare un regolare spazio del loro tempo per la lettura del report settimanale: il documento è il risultato di un costante lavoro di analisi delle più recenti dinamiche osservate sui mercati. La disciplina sui mercati finanziari viene dalla fiducia e questa viene dalla costante analisi delle informazioni a nostra disposizione: un investitore informato ha una probabilità di successo decisamente maggiore rispetto a quella di uno meno consapevole.
Pianificazione Finanziaria
I criteri classici della consulenza finanziaria in Italia si basano sull’utilizzo di modelli di asset allocation di tipo statico, confezionati mediante l’offerta di un paniere di strumenti finanziari che vanno a configurare un portafoglio di base, il quale resta sostanzialmente lo stesso per un periodo di tempo indefinito.
In DLD riteniamo che l’asset allocation statica non sia sufficiente e che, a questa, sia necessario abbinare modelli di asset allocation dinamica: l’obiettivo è offrire l’opportunità di variare l’esposizione complessiva al rischio al variare delle condizioni di mercato, isolando gli specifici fattori di rischio delle asset class in portafoglio.
In aggiunta, riteniamo fondamentale disporre di specifici protocolli d’intervento a difesa del portafoglio, al verificarsi di specifiche condizioni di mercato. Ciò può comportare una temporanea sovraesposizione su strumenti finanziari tipicamente più difensivi ed una sottoesposizione alle asset class più rischiose.
Tutti i nostri modelli sono il risultato di rigorosa analisi quantitativa e si rifanno alla vasta letteratura esistente in materia di quantitative investing.
Il capitale investibile è frutto del lavoro e del risparmio accumulato nel corso degli anni e nessun investitore vuole trovarsi strategicamente impreparato di fronte alle flessioni dei prezzi che storicamente e ciclicamente si verificano sui mercati finanziari.
Utilizzare un approccio “compra e tieni” (c.d. buy and hold) ha senso solo se si riesce a restare investiti per il 100% della propria vita da investitore. Tuttavia, la storia dei mercati finanziari è costellata di periodi storici molto complessi: momenti in cui sarebbe stato molto difficile restare sereni semplicemente pensando che “nel lungo periodo i mercati si riprenderanno”.
Se guardiamo alle serie storiche, osserviamo come persino sull’S&P500, l’indice azionario americano che storicamente ha manifestato la maggior tendenza rialzista nel lungo periodo, si è assistito a correzioni molto profonde e che hanno prodotto notevoli riduzioni della ricchezza per quanti si fossero trovati pienamente investiti in quel momento.
Periodo (S&P500) | Drawdown* | Capitale iniziale ($) | Capitale finale ($) |
10/2007 – 3/2009 | -56.80% | 1.000.000 | 432.000 |
3/2000 – 10/2002 | -49.20% | 1.000.000 | 508.000 |
12/1973 – 3/1974 | -48.20% | 1.000.000 | 518.000 |
2/1968 – 5/1970 | -36.10% | 1.000.000 | 639.000 |
2/2020 – 3/2020 | -35.75% | 1.000.000 | 642.000 |
8/1987 – 12/1987 | -33.50% | 1.000.000 | 665.000 |
12/1961 – 6/1962 | -28.00% | 1.000.000 | 720.000 |
1/1980 – 8/1982 | -27.10% | 1.000.000 | 729.000 |
*La tabella ha carattere informativo. Il nostro approccio mira a limitare, e non ad eliminare, gli effetti di una correzione ciclica sui portafogli. Sebbene il nostro approccio si basi sull’analisi quantitativa delle serie storiche, non esistono garanzie sui mercati finanziari.
*Massima correzione dai massimi
Diversamente dall’approccio “compra e tieni”, l’applicazione di logiche quantitative, o Rules-Based, alle scelte di d’investimento, consente di disporre costantemente di strategie di mitigazione del rischio, da attuare al variare delle condizioni di mercato.
L’obiettivo non è conseguire rendimenti superiori agli indici di riferimento ma bensì contenere il rischio, non essere mai strategicamente impreparati di fronte alle fase di correzione e vivere più serenamente ogni fase di mercato.
“Investire nel lungo periodo è una buona idea se sei grande quanto una sequoia, una tartaruga gigante o una fondazione molto capitalizzata, ma gli individui non hanno un orizzonte di venti anni per riprendersi dalle grandi flessioni dei mercati”
(The Ivy Portfolio: How to invest like the top endowments and avoid bear markets di Mebane T. Faber e Eric W. Richardson)
La diversificazione è il primo strumento di mitigazione del rischio per l’investitore. Tuttavia, è storicamente provato come, oltre una certa soglia di strumenti in portafoglio, l’effetto complessivo di mitigazione del rischio diventa marginale.
L’inclusione di ulteriori strumenti finanziari in portafoglio, in assenza di comprovata verifica della capacità degli stessi di migliorare il profilo di rischio dello stesso, è non solo inutile ma potenzialmente incredibilmente dannosa, se inserita in una logica di portafoglio c.d. “compra e tieni”.
Se escludiamo gli strumenti che storicamente presentano il maggior “bias” rialzista, come ad esempio alcuni indici azionari globali, la gran parte degli strumenti finanziari non hanno la tendenza a salire nel lungo periodo. Basti osservare la performance dell’indice italiano FTSE MIB nel periodo 2004 – 2021:
Di fronte ad una flessione come quella della recessione 2008 – 2009 non avrebbe avuto alcun senso attendere una ripresa dell’indice: una ripresa che non si è mai verificata e che avrebbe lasciato l’investitore con una perdita durevole di valore ed un capitale che negli anni successivi non ha generato alcun rendimento. Le medesime considerazioni si possono estendere ad una larga serie di strumenti come azioni, obbligazioni e materie prime.
Persino l’indice S&P500, nonostante la sua storicamente comprovata forza rialzista, in diversi periodi storici è andato incontro a correzioni significative, impiegando anni a tornare sui livelli pre-correzione. Il grafico sottostante è l’S&P500 nel periodo 2000 – 2013. Qualora un investitore avesse allocato il suo capitale sull’indice americano nel Marzo del 2000, avrebbe avuto la possibilità di recuperare pienamente il suo capitale dopo otto anni, salvo poi andare incontro ad un’altra correzione e recuperarlo definitivamente ad Aprile del 2013. Tredici anni per recuperare il proprio capitale iniziale e nessun rendimento.
L’alternativa? Investire in quelle logiche di asset allocation, sia statica che dinamica, che negli anni hanno dimostrato di performare al meglio, includere in portafoglio solo gli strumenti che alla prova dei fatti migliorano il profilo di rischio complessivo del portafoglio, riducendone la volatilità, ed isolare i singoli fattori di rischio del portafoglio, gestendone i riflessi nelle diverse fasi di mercato.
I risultati straordinari naturalmente attraggono attenzione, ma gli osservatori più attenti sanno che il vero segreto del grande successo finanziario della fondazione di Harvard si chiama difesa, difesa e ancora difesa. Ma come, potreste chiedervi, può la sola difesa essere così centrale nel raggiungimento di risultati finanziari così straordinariamente positivi? Partendo dalla storica verità sul successo nel campo della finanza, ossia che quando semplicemente eliminiamo le perdite più rilevanti i risultati vengono da soli, dobbiamo sempre tenere a mente l’importanza dello stare lontano dai guai.
(Charles Ellis, Presidente del Comitato Investimenti, Università di Harvard)
No. Trading ed investing sono due attività profondamente diverse: entrambe utilizzano l’analisi quantitativa come primo strumento di analisi ed approfondimento ma le logiche operative, di costruzione e di gestione dei portafogli sono del tutto diverse. Sfruttare logiche dinamiche di costruzione di portafoglio non implica in alcun modo entrare ed uscire costantemente dal mercato.
Generare rendimenti significativi in mercati rialzisti senza avere una strategia per gestire mercati ribassisti è il più grave degli errori e può portare a distruggere in pochi mesi quanto guadagnato nel corso degli anni.
L’effetto dell’interesse composto (c.d. compounding) è un principio matematico che funziona tanto nella crescita del capitale quanto nella sua erosione.
Supponiamo di avere due portafogli: il primo opera secondo un logica “compra e tieni”, mentre il secondo unisce ad un asset allocation statica una serie di protocolli di asset allocation dinamica, al fine di gestire con buona flessibilità le diverse fasi di mercato:
Portafoglio 1* |
|
| |
Anno | Capitale iniziale ($) | Rendimento | Capitale finale ($) |
1 | 200.000 | 20.00% | 240.000 |
2 | 240.000 | 15.00% | 276.000 |
3 | 276.000 | 15.00% | 317.400 |
4 | 317.400 | 20.00% | 380.880 |
5 | 380.880 | -35.00% | 247.572 |
*Scenario ipotetico a scopo illustrativo
Portafoglio 2* |
|
| |
Anno | Capitale iniziale ($) | Rendimento | Capitale finale ($) |
1 | 200.000 | 10.00% | 220.000 |
2 | 220.000 | 7.50% | 236.500 |
3 | 236.500 | 7.50% | 254.238 |
4 | 254.238 | 10.00% | 279.661 |
5 | 279.661 | -5.00% | 265.678 |
*Scenario ipotetico a scopo illustrativo
Possiamo osservare che il portafoglio 1 ha realizzato una performance doppia rispetto a quella del portafoglio 2 per quattro anni consecutivi. Nel quinto, tuttavia, la gestione attiva del rischio ha consentito al portafoglio 2 di difendersi meglio e ridurre la perdita complessiva, al contrario di quanto avvenuto per il portafoglio 1, che è impostato in una logica di asset allocation statica. Al termine del quinto anno, il portafoglio 2 avrà non solo sperimentato una minor volatilità complessiva nell’arco dei cinque anni ma avrà anche conseguito un risultato superiore in termini di rendimento assoluto.
Troppo spesso ci si dimentica che il principio dell’interesse composto è un arma a doppio taglio: può operare tanto a nostro favore nelle fasi di rialzo quanto a nostro sfavore in quelle di ribasso.
Questo semplice esempio spiega perché conseguire una performance superiore al benchmark è un obiettivo poco rilevante per l’investitore mentre, ai fini della costruzione e preservazione del capitale, ben altra rilevanza assume avere una strategia di contenimento delle fasi di correzione.
Il nostro cliente tipicamente dispone di un buon capitale accumulato negli anni ed è interessato a proteggerlo dai momenti di inevitabile fragilità dei mercati finanziari, pur volendo partecipare alle lunghe fasi di rialzo che storicamente si osservano sugli stessi.
In aggiunta, egli riconosce l’importanza di avere una corretta impostazione d’investimento per il proprio patrimonio e, al contempo, di disporre sempre di uno o più linee d’intervento sul suo portafoglio in presenza di un mutato scenario di mercato: una opportunità che un sistema di private banking centrato su modelli di asset allocation statica non può offrire.
In linea con quanto previsto dalla legge, il cliente viene classificato rispetto al suo profilo di rischio, al fine di valutare l’adeguatezza delle soluzioni d’investimento proposte.
Una volta definito il quadro di asset allocation strategica rispetto al quale viene costruito il portafoglio, il cliente viene informato di quelle che potrebbero essere le principali soluzioni di aggiustamento tattiche che potrebbero essere proposte, al variare delle condizioni di mercato.
In ogni caso, qualsiasi proposta di cambiamento dell’asset allocation avviene nella logica di ridurre il rischio del portafoglio, o di riportarlo alla sua condizione iniziale. Ogni proposta è quindi sempre in linea con la propensione al rischio del cliente stesso, sulla base delle informazioni rilevanti ricevute dalla società all’inizio dell’instaurazione del rapporto.
Il cliente viene ovviamente messo nella condizione di selezionare strumenti finanziari nell’ambito di un universo d’investimento molto ampio.
Nell’ambito di quest’offerta viene operata una distinzione tra strumenti che storicamente sono fonti di redditività (c.d. growth-oriented assets) e strumenti difensivi (c.d. conservative assets). I primi diversificano sul comparto azionario, per settori e aree geografiche, sulle materie prime, sia singole che su basket delle stesse, e su ETF obbligazionari corporate. Diversamente, gli strumenti difensivi includono ETF obbligazionari governativi, metalli preziosi, strumenti di mercato monetario e liquidità.
Storicamente, abbiamo anche osservato fasi di mercato in cui strumenti rischiosi (azioni) e strumenti difensivi (obbligazioni governative) si sono mossi in maniera fortemente correlata: per questo la definizione di due grandi famiglie di strumenti finanziari, rischiosi e difensivi, consente di avere sempre delle opzioni a seconda delle fasi di mercato, indipendentemente da singoli, magari temporanei, aumenti di correlazione tra singoli strumenti.
Al di là della retorica su quanto sia necessario avere la giusta mentalità per investire sui mercati finanziari, è indubbio che un certo grado di forza mentale sia necessario per vivere serenamente le diverse fasi sui mercati.
Lo studio e la ricerca sugli strumenti finanziari e sulle logiche operative di gestione del capitale sono la base imprescindibile da cui partire ma la disciplina è il terzo pilastro senza il quale nessun piano d’investimento può funzionare.
La disciplina è fondamentale non solo nelle fasi complesse di mercato ma anche in quelle molto costruttive. L’illusione del controllo o l’avidità possono spingerci a ridurre la diversificazione di portafoglio o, ad esempio, a saltare un ribilanciamento di portafoglio: “in fondo, questa posizione (titolo, ETF o qualsiasi altro strumento) sta andando così bene, perché devo vendere? Perché non investire ancora un po’?”
L’analisi quantitativa serve a rimuove larga parte della discrezionalità delle nostre scelte, ricordandoci l’importanza di un approccio strutturato alla gestione del capitale, ma solo l’esercizio della disciplina fa di noi degli investitori razionali e di successo.
DLD Capital mette a disposizione del cliente una vasta selezione di strumenti finanziari sulla base di logiche che ne valutino soprattutto l’opportunità in termini di costo, performance storica, volatilità e grado di correlazione con i mercati di riferimento: certamente consideriamo singoli titoli, azionari o obbligazionari, e fondi comuni d’investimento. Tuttavia, è indiscutibile che gli ETF negli anni siano diventati nel tempo uno strumento la cui flessibilità operativa è seconda solo a quella dei futures.
In aggiunta, gli ETF offrono un vantaggio notevole sul piano della diversificazione, in particolare con riferimento agli investimenti sul settore dei titoli a bassa capitalizzazione (small caps) e su quello dei titoli obbligazionari speculativi (high yield).
Sul primo fronte, i titoli a bassa capitalizzazione possono contenere un forte rischio specifico ed un errata valutazione del titolo sul piano fondamentale può portare perdite significative e difficilmente recuperabili. Lo stesso titoli inserito in un ETF avrebbe un impatto decisamente più limitato sul portafoglio. Sul secondo, il vantaggio dell’ETF è ancor più significativo: i titoli obbligazionari speculativi possono andare incontro a forti crisi sul piano della liquidità e a perdite di valore tra l’80% ed il 100%, nel caso di fallimento della società. Persino un evento estremo di questa dimensione diventa molto gestibile nel complesso di uno strumento altamente diversificato come un ETF.
Un portafoglio viene sempre costruito in funzione della propensione al rischio del singolo cliente, in linea con quanto previsto dalla normativa Mifid, che prevede una verifica di adeguatezze delle soluzioni d’investimento proposte. Il nostro modello di asset allocation è strutturato propriamente per poter riflettere in maniera più dinamica e granulare la propensione al rischio dell’investitore, in particolare mediante la quantificazione di parametri che possono essere definiti, ed eventualmente aggiornati, in relazione alla propensione al rischio del cliente.
La grande maggioranza dei modelli di robo-advisory sono strutturati nella forma di una replica di modelli di asset allocation statica, con operazioni di ribilanciamento delle posizioni che avvengono ad intervalli regolari, indipendentemente dalle fasi di mercato.
Al contrario il nostro modello di consulenza, in primis, è strutturato in modo da potere cogliere con maggior grado di dettaglio le necessità del cliente. Secondariamente, i nostri modelli prevedono l’adozione di specifiche modalità di intervento di mitigazione del rischio di portafoglio al mutare delle condizioni di mercato.
Nell’esempio sottostante si può osservare il confronto tra un portafoglio di ETF obbligazionari, costruito con una logica rotazionale che ottimizza i pesi dei singoli ETF in relazione alla volatilità degli ultimi tre mesi, ed il suo benchmark, un ETF obbligazionario governativo con duration compresa tra 15 e 30 anni. Su un orizzonte di circa 14 anni (2007 – 2021) possiamo osservare come portafoglio sovraperformi per un lungo periodo il benchmark ma, soprattutto, presenti una volatilità nettamente inferiore: nello specifico la deviazione standard del portafoglio sul periodo considerato è pari al 3.9% annuo, mentre quella del benchmark è pari al 9.8%. In termini di remunerazione del rischio, il portafoglio batte il benchmark sotto tutte le metriche di riferimento (maximum drawdown, Sharpe Ratio, deviazione standard e rapporto tra profitto e maximum drawdown).
Una miglior remunerazione del rischio assunto si traduce in due vantaggi immediati: in primis, in una minor oscillazione del portafoglio a parità di rendimento e, secondariamente, una limitazione del rischio di effettuare riscatti dalla posizione in momenti in cui la stessa è in forte sofferenza. In questo senso, il confronto grafico è molto chiaro.
*Scenario ipotetico a scopo illustrativo. Capitale iniziale: $1.000.000. Questo backtest non considera l’impatto dei costi di transazione. Le performance passate non sono indicative dei risultati futuri.
Consulenza finanziaria integrata
Le Società di Consulenza Finanziaria, o SCF, sono società autorizzate a svolgere la consulenza in materia di investimenti senza detenere fondi o titoli, i quali restano nella esclusiva disponibilità dei clienti. Possono assumere la forma giuridica di società per azioni (S.p.A.) o di società a responsabilità limitata (S.r.l.).
Il presupposto della loro attività è la regolare iscrizione all’albo dell’Organismo di Vigilanza e tenuta dell’albo unico dei Consulenti Finanziari (OCF), in presenza di specifici requisiti di professionalità, onorabilità, indipendenza e di precisi requisiti patrimoniali.
La società di consulenza finanziaria viene remunerata esclusivamente dai clienti per conto dei quali svolge la consulenza in oggetto e gli è espressamente preclusa qualsiasi forma di beneficio e/o onorario da un soggetto diverso dal cliente (c.d. modello a “parcella”)
In misura maggiore rispetto a quanto si osserva in altri paesi europei, gli investitori italiani sono penalizzati da un’industria del risparmio gestito ancora fortemente concentrata nell’offerta di prodotti c.d. a “gestione attiva”. Questi prodotti presentano un profilo di costi decisamente significativo, come evidenziato dal report della European Securities and Market Authority (ESMA) nel 2020: Performance and Costs of Retail Investment Products in the EU.
Il report evidenzia il maggior costo applicato sugli investitori al dettaglio rispetto a quelli istituzionali per i prodotti azionari ed obbligazionari:
Parimenti l’analisi evidenzia l’incapacità di questi prodotti di giustificare i costi con le performance generate:
“Concentrandosi sulla distribuzione e la dispersione dei costi, indipendentemente dal tipo di gestione, questi non corrispondono a performance più elevate, ossia non si osserva alcuna correlazione tra costi del fondo e la sua performance. Per i fondi azionari attivi, i costi sono stati in media tra l’1% e il 3%, indipendentemente dalla performance annua lorda”.
Sul piano geografico, il report evidenzia inoltre come l’Italia sia uno dei paesi meno competitivi sul piano dei costi:
“Indicativamente, tra le giurisdizioni sono osservabili differenze in termini di livelli di costo per lo stesso tipo di canale distributivo. Ad esempio, concentrandosi sui fondi azionari, i distributori bancari addebitano costi più elevati in Italia e Grecia, rispetto a Finlandia, Malta o Slovacchia…. In media in Italia i costi sembrano essere più alti nel confronto con gli altri dodici paesi per i quali sono disponibili i dati”.
Lo stessa ricerca evidenzia la costante crescita degli ETF, ossia di prodotti ad indicizzazione passiva, i cui costi si aggirano intorno allo 0.1% – 0.3% annuo.
Gli ETF sono strumenti che replicano passivamente l’andamento di uno strumento finanziario e, oltre a presentare un profilo di costi di circa l’80-90%% inferiore rispetto ai prodotti attivi, consentono una flessibilità operativa all’investitore impensabile con molti prodotti attivi.
In conclusione, al netto della parcella da riconoscere alla SCF, il ricorso ad una serie di prodotti più efficienti, che comprende ma non si limita agli ETF, consente al risparmiatore di conseguire da subito risparmi netti molto significativi in termini di costo di gestione del portafoglio.
Tra inflazione e rallentamento: pick your poison
Dopo sette settimane consecutive di flessione, i mercati azionari americani hanno chiuso la settimana appena trascorsa con guadagni compresi tra il 6,24% del Dow Jones e il 6,84% del Nasdaq: vediamone le ragioni, tecniche e fondamentali.
Sul piano strettamente tecnico, l’esaurimento della pressione ribassista era evidente da diversi giorni: prendendo ad esempio l’S&P500, i tentativi di rottura la ribasso di area 3.850 punti erano stati respinti sull’arco di almeno tre sedute, ragion per cui la progressiva e presumibile chiusura delle posizioni short aperte ha portato a due sedute di deciso rimbalzo, nelle giornate di giovedì e venerdì.
Al di là delle operazioni di ricopertura, le ragioni fondamentali alla base dei movimenti degli ultimi giorni sono più interessanti e, soprattutto, più funzionali alla ricostruzione del quadro d’insieme che oggi osserviamo nelle relazioni tra le diverse asset class.
Nelle settimane precedenti avevamo osservato segnali di vita dal comparto del credito, in particolare nelle ultime due settimane dei Treasuries USA, chiuse con buoni guadagni in corrispondenza di minimi di periodo molto significativi. Parimenti, avevamo sottolineato la necessità di un “amico” per i mercati finanziari, fosse questo nella forma di segnali di politica monetaria più accomodanti, un rallentamento dell’inflazione o il miglioramento dell’outlook macroeconomico. Il segnale, per quanto timido e meritevole di un grado equilibrato di considerazione, è venuto dal Presidente della Fed di Atlanta, Raphael Bostic, che ha menzionato la possibilità (“make sense”) per la Fed di prendere una pausa dall’attività di rialzo dei tassi, a partire dal mese di settembre, in presenza di dati sull’inflazione che lo consentano: tanto basta per dar vita ad un mini rally di 48 ore su mercati azionari ed obbligazionari che da diverse settimane erano in un forte stato di ipervenduto.
Siamo quindi di fronte al tanto atteso “pivot” di politica monetaria da parte della Fed, da cui attendersi un rally delle asset class e dei settori più penalizzati in questi mesi? Assolutamente no: un conto è una dichiarazione di un Presidente federale della Fed ed un altro sarebbe una simile affermazione da parte di Jerome Powell. Le dichiarazioni di Bostic sembrano un tentativo di anticipare una politica della Fed che sia contemporaneamente market friendly e impegnata nella lotta all’inflazione: vedremo quando e se anche Powell intraprenderà questa linea comunicativa.
Allo stesso tempo, il quadro tecnico resta di ipervenduto sulla gran parte delle asset class, escluse le materie prime, e se anche un analista come Tom DeMark vede lo spazio per uno “shocking rally”, tutto ciò rappresenta un’ulteriore conferma di quanto sia necessario restare flessibili in questa delicata fase di mercato.
Tornando alle ragioni fondamentali di quanto osservato nelle ultime sedute, il confronto tra l’S&P500 e i rendimenti del Treasuries USA a 10 anni, ci spiega chiaramente come tale rapporto in termini di forza relativa sia su valori che non si osservavano dal 1994: soprattutto alla luce della velocità di questo rialzo e della distanza dal riferimento della media mobile a 200 settimane, un progressivo ripiegamento di questo rialzo verso un valore medio era ampiamento atteso.
Altrettanto fondamentale è osservare come la compressione dei rendimenti si sia fatta sentire anche sul settore del credito corporate che, al pari di quanto osservato sul comparto dei titoli di stato, scambia su livelli da diverse settimane su livelli di ipervenduto paragonabili solo a quelli del 2020 e del 2008.
Chiarito che siamo ai primi segnali di vita di un mercato del credito che scambia da settimane in territorio di forte ipervenduto, possiamo affermare che lo stesso stato di cose valga anche per quello azionario? Non esattamente.
Se, sul piano tecnico, certamente i mercati azionari sono reduci da una correzione molto pronunciata, alcuni indicatori più strettamente legati al posizionamento degli investitori non evidenziano ancora segnali di estrema avversione al rischio. In particolare, se osserviamo il Put-to-Call Ratio su base mensile, osserviamo come i valori attuali siano molto lontani dalle fasi di maggior avversione al rischio osservate negli ultimi quindici anni.
In egual misura, il numero di titoli dell’S&P500 che scambia sopra la media mobile a duecento giorni e a cinquanta giorni è pari, rispettivamente, al 38,68% e al 46,49%, in miglioramento rispetto alla settimana precedente. Questo stato di cose descrive un quadro in evoluzione ma che, certamente, è lontano dai livelli di stress massimo che in passato sono stati associati a minimi significativi dell’indice.
Sul piano delle eccezionalità statistiche della settimana, l’informazione più significativa ci viene in dote da quell’eccezionale uomo di mercati che è Walter Deemer, che ci ricorda come le ultime tre sedute sui mercati azionari americani siano stati caratterizzati da una chiusura in positivo di oltre l’80% dei titoli, ricorrenza verificatasi solo in altre tre circostanze dal 2011 ad oggi.
Il passo successivo all’osservazione di questa particolarità statistica è la verifica di quanto è accaduto sul principale indice americano, in termini di drawdown e performance, nei dodici mesi successivi alla generazione del segnale. Come osserviamo, nelle tre precedenti occasioni, questo segnale ha portato con sé un’oscillazione significativa in termini di drawdown addizionale, ma nel quadro di un rapporto tra rendimento e rischio molto promettente su un orizzonte di dodici mesi.
Cosa attendersi nel breve termine? È verosimile che questo rimbalzo possa consolidarsi ma è altresì evidente che gli indici ben presto si troveranno di fronte alle sfide più significative in corrispondenza di quei livelli di prezzo accompagnati da alti volumi di scambio. L’osservazione di quanto avverrà in corrispondenza di questi livelli di prezzo potrà dirci molto circa la natura di questa correzione, ossia se andremo incontro ad un nuovo test dei minimi di quest’anno o se, piuttosto, andremo incontro ad una fase, più o meno rapida, di consolidamento dei livelli attuali.
In conclusione, il quadro non è mutato significativamente rispetto alla settimana passata e il dubbio principale resta il medesimo: siamo di fronte ad una correzione la cui durata può essere ancora considerata relativamente rapida o, diversamente, siamo entrati in un bear market dalle dimensioni potenzialmente più profonde e dalla durata presumibilmente più estesa? Gestire i rischi del nostro portafoglio serve esattamente a trovare una soluzione operativa rispetto ad un interrogativo al quale, chiaramente, non potremo dare una risposta se non ex-post.
Prendendo come riferimento l’S&P500, ed eliminando la correzione del 1929, le correzioni “rapide” sull’indice americano hanno avuto un maximum drawdown medio del 15,5% su un periodo medio di 2 mesi, mentre quelle lunghe hanno avuto un drawdown medio del 18,7% su un periodo medio di 9 mesi. Tra questi valori medi esistono ovviamente livelli estremi che, credo, vogliamo tutti evitare.
“È veramente importante se l’S&P500 è sceso del 19,9% o del 20,1%? Personalmente preferisco la definizione di bear market secondo la vecchia scuola: snervante”
Howard Marks
Disclaimer:
Questo documento assume natura educativa e non può essere considerato attività di consulenza finanziaria indipendente. L’autore o DLD Capital SCF S.r.l. non sono responsabili delle decisioni che potrebbero essere intraprese a seguito della lettura di questo articolo. Prima di assumere scelte d’investimento, suggeriamo di rivolgervi ad un consulente finanziario iscritto all’Organismo di vigilanza e tenuta dell’albo unico dei consulenti finanziari (www.organismocf.it).