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Condizioni Economiche
Si. DLD Capital SCF offre il servizio di consulenza finanziaria per patrimoni di importo non inferiore ai 500.000€
Il valore della commissione viene calcolato in percentuale sul patrimonio oggetto della consulenza. Per patrimoni di dimensioni rilevanti la società si riserva di proporre un piano commissionale agevolato.
Il pagamento della commissione annuale di consulenza viene suddiviso in due rate semestrali ed è corrisposto anticipatamente.
In aggiunta alle comunicazioni previste per legge e ai regolari incontri con la clientela, DLD Capital pubblica un report settimanale in cui vengono analizzati, in chiave logico-statistica, i più recenti eventi economico-finanziari ed il loro impatto sui mercati finanziari.
Suggeriamo ai clienti di ritagliare un regolare spazio del loro tempo per la lettura del report settimanale: il documento è il risultato di un costante lavoro di analisi delle più recenti dinamiche osservate sui mercati. La disciplina sui mercati finanziari viene dalla fiducia e questa viene dalla costante analisi delle informazioni a nostra disposizione: un investitore informato ha una probabilità di successo decisamente maggiore rispetto a quella di uno meno consapevole.
Pianificazione Finanziaria
I criteri classici della consulenza finanziaria in Italia si basano sull’utilizzo di modelli di asset allocation di tipo statico, confezionati mediante l’offerta di un paniere di strumenti finanziari che vanno a configurare un portafoglio di base, il quale resta sostanzialmente lo stesso per un periodo di tempo indefinito.
In DLD riteniamo che l’asset allocation statica non sia sufficiente e che, a questa, sia necessario abbinare modelli di asset allocation dinamica: l’obiettivo è offrire l’opportunità di variare l’esposizione complessiva al rischio al variare delle condizioni di mercato, isolando gli specifici fattori di rischio delle asset class in portafoglio.
In aggiunta, riteniamo fondamentale disporre di specifici protocolli d’intervento a difesa del portafoglio, al verificarsi di specifiche condizioni di mercato. Ciò può comportare una temporanea sovraesposizione su strumenti finanziari tipicamente più difensivi ed una sottoesposizione alle asset class più rischiose.
Tutti i nostri modelli sono il risultato di rigorosa analisi quantitativa e si rifanno alla vasta letteratura esistente in materia di quantitative investing.
Il capitale investibile è frutto del lavoro e del risparmio accumulato nel corso degli anni e nessun investitore vuole trovarsi strategicamente impreparato di fronte alle flessioni dei prezzi che storicamente e ciclicamente si verificano sui mercati finanziari.
Utilizzare un approccio “compra e tieni” (c.d. buy and hold) ha senso solo se si riesce a restare investiti per il 100% della propria vita da investitore. Tuttavia, la storia dei mercati finanziari è costellata di periodi storici molto complessi: momenti in cui sarebbe stato molto difficile restare sereni semplicemente pensando che “nel lungo periodo i mercati si riprenderanno”.
Se guardiamo alle serie storiche, osserviamo come persino sull’S&P500, l’indice azionario americano che storicamente ha manifestato la maggior tendenza rialzista nel lungo periodo, si è assistito a correzioni molto profonde e che hanno prodotto notevoli riduzioni della ricchezza per quanti si fossero trovati pienamente investiti in quel momento.
Periodo (S&P500) | Drawdown* | Capitale iniziale ($) | Capitale finale ($) |
10/2007 – 3/2009 | -56.80% | 1.000.000 | 432.000 |
3/2000 – 10/2002 | -49.20% | 1.000.000 | 508.000 |
12/1973 – 3/1974 | -48.20% | 1.000.000 | 518.000 |
2/1968 – 5/1970 | -36.10% | 1.000.000 | 639.000 |
2/2020 – 3/2020 | -35.75% | 1.000.000 | 642.000 |
8/1987 – 12/1987 | -33.50% | 1.000.000 | 665.000 |
12/1961 – 6/1962 | -28.00% | 1.000.000 | 720.000 |
1/1980 – 8/1982 | -27.10% | 1.000.000 | 729.000 |
*La tabella ha carattere informativo. Il nostro approccio mira a limitare, e non ad eliminare, gli effetti di una correzione ciclica sui portafogli. Sebbene il nostro approccio si basi sull’analisi quantitativa delle serie storiche, non esistono garanzie sui mercati finanziari.
*Massima correzione dai massimi
Diversamente dall’approccio “compra e tieni”, l’applicazione di logiche quantitative, o Rules-Based, alle scelte di d’investimento, consente di disporre costantemente di strategie di mitigazione del rischio, da attuare al variare delle condizioni di mercato.
L’obiettivo non è conseguire rendimenti superiori agli indici di riferimento ma bensì contenere il rischio, non essere mai strategicamente impreparati di fronte alle fase di correzione e vivere più serenamente ogni fase di mercato.
“Investire nel lungo periodo è una buona idea se sei grande quanto una sequoia, una tartaruga gigante o una fondazione molto capitalizzata, ma gli individui non hanno un orizzonte di venti anni per riprendersi dalle grandi flessioni dei mercati”
(The Ivy Portfolio: How to invest like the top endowments and avoid bear markets di Mebane T. Faber e Eric W. Richardson)
La diversificazione è il primo strumento di mitigazione del rischio per l’investitore. Tuttavia, è storicamente provato come, oltre una certa soglia di strumenti in portafoglio, l’effetto complessivo di mitigazione del rischio diventa marginale.
L’inclusione di ulteriori strumenti finanziari in portafoglio, in assenza di comprovata verifica della capacità degli stessi di migliorare il profilo di rischio dello stesso, è non solo inutile ma potenzialmente incredibilmente dannosa, se inserita in una logica di portafoglio c.d. “compra e tieni”.
Se escludiamo gli strumenti che storicamente presentano il maggior “bias” rialzista, come ad esempio alcuni indici azionari globali, la gran parte degli strumenti finanziari non hanno la tendenza a salire nel lungo periodo. Basti osservare la performance dell’indice italiano FTSE MIB nel periodo 2004 – 2021:
Di fronte ad una flessione come quella della recessione 2008 – 2009 non avrebbe avuto alcun senso attendere una ripresa dell’indice: una ripresa che non si è mai verificata e che avrebbe lasciato l’investitore con una perdita durevole di valore ed un capitale che negli anni successivi non ha generato alcun rendimento. Le medesime considerazioni si possono estendere ad una larga serie di strumenti come azioni, obbligazioni e materie prime.
Persino l’indice S&P500, nonostante la sua storicamente comprovata forza rialzista, in diversi periodi storici è andato incontro a correzioni significative, impiegando anni a tornare sui livelli pre-correzione. Il grafico sottostante è l’S&P500 nel periodo 2000 – 2013. Qualora un investitore avesse allocato il suo capitale sull’indice americano nel Marzo del 2000, avrebbe avuto la possibilità di recuperare pienamente il suo capitale dopo otto anni, salvo poi andare incontro ad un’altra correzione e recuperarlo definitivamente ad Aprile del 2013. Tredici anni per recuperare il proprio capitale iniziale e nessun rendimento.
L’alternativa? Investire in quelle logiche di asset allocation, sia statica che dinamica, che negli anni hanno dimostrato di performare al meglio, includere in portafoglio solo gli strumenti che alla prova dei fatti migliorano il profilo di rischio complessivo del portafoglio, riducendone la volatilità, ed isolare i singoli fattori di rischio del portafoglio, gestendone i riflessi nelle diverse fasi di mercato.
I risultati straordinari naturalmente attraggono attenzione, ma gli osservatori più attenti sanno che il vero segreto del grande successo finanziario della fondazione di Harvard si chiama difesa, difesa e ancora difesa. Ma come, potreste chiedervi, può la sola difesa essere così centrale nel raggiungimento di risultati finanziari così straordinariamente positivi? Partendo dalla storica verità sul successo nel campo della finanza, ossia che quando semplicemente eliminiamo le perdite più rilevanti i risultati vengono da soli, dobbiamo sempre tenere a mente l’importanza dello stare lontano dai guai.
(Charles Ellis, Presidente del Comitato Investimenti, Università di Harvard)
No. Trading ed investing sono due attività profondamente diverse: entrambe utilizzano l’analisi quantitativa come primo strumento di analisi ed approfondimento ma le logiche operative, di costruzione e di gestione dei portafogli sono del tutto diverse. Sfruttare logiche dinamiche di costruzione di portafoglio non implica in alcun modo entrare ed uscire costantemente dal mercato.
Generare rendimenti significativi in mercati rialzisti senza avere una strategia per gestire mercati ribassisti è il più grave degli errori e può portare a distruggere in pochi mesi quanto guadagnato nel corso degli anni.
L’effetto dell’interesse composto (c.d. compounding) è un principio matematico che funziona tanto nella crescita del capitale quanto nella sua erosione.
Supponiamo di avere due portafogli: il primo opera secondo un logica “compra e tieni”, mentre il secondo unisce ad un asset allocation statica una serie di protocolli di asset allocation dinamica, al fine di gestire con buona flessibilità le diverse fasi di mercato:
Portafoglio 1* |
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Anno | Capitale iniziale ($) | Rendimento | Capitale finale ($) |
1 | 200.000 | 20.00% | 240.000 |
2 | 240.000 | 15.00% | 276.000 |
3 | 276.000 | 15.00% | 317.400 |
4 | 317.400 | 20.00% | 380.880 |
5 | 380.880 | -35.00% | 247.572 |
*Scenario ipotetico a scopo illustrativo
Portafoglio 2* |
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Anno | Capitale iniziale ($) | Rendimento | Capitale finale ($) |
1 | 200.000 | 10.00% | 220.000 |
2 | 220.000 | 7.50% | 236.500 |
3 | 236.500 | 7.50% | 254.238 |
4 | 254.238 | 10.00% | 279.661 |
5 | 279.661 | -5.00% | 265.678 |
*Scenario ipotetico a scopo illustrativo
Possiamo osservare che il portafoglio 1 ha realizzato una performance doppia rispetto a quella del portafoglio 2 per quattro anni consecutivi. Nel quinto, tuttavia, la gestione attiva del rischio ha consentito al portafoglio 2 di difendersi meglio e ridurre la perdita complessiva, al contrario di quanto avvenuto per il portafoglio 1, che è impostato in una logica di asset allocation statica. Al termine del quinto anno, il portafoglio 2 avrà non solo sperimentato una minor volatilità complessiva nell’arco dei cinque anni ma avrà anche conseguito un risultato superiore in termini di rendimento assoluto.
Troppo spesso ci si dimentica che il principio dell’interesse composto è un arma a doppio taglio: può operare tanto a nostro favore nelle fasi di rialzo quanto a nostro sfavore in quelle di ribasso.
Questo semplice esempio spiega perché conseguire una performance superiore al benchmark è un obiettivo poco rilevante per l’investitore mentre, ai fini della costruzione e preservazione del capitale, ben altra rilevanza assume avere una strategia di contenimento delle fasi di correzione.
Il nostro cliente tipicamente dispone di un buon capitale accumulato negli anni ed è interessato a proteggerlo dai momenti di inevitabile fragilità dei mercati finanziari, pur volendo partecipare alle lunghe fasi di rialzo che storicamente si osservano sugli stessi.
In aggiunta, egli riconosce l’importanza di avere una corretta impostazione d’investimento per il proprio patrimonio e, al contempo, di disporre sempre di uno o più linee d’intervento sul suo portafoglio in presenza di un mutato scenario di mercato: una opportunità che un sistema di private banking centrato su modelli di asset allocation statica non può offrire.
In linea con quanto previsto dalla legge, il cliente viene classificato rispetto al suo profilo di rischio, al fine di valutare l’adeguatezza delle soluzioni d’investimento proposte.
Una volta definito il quadro di asset allocation strategica rispetto al quale viene costruito il portafoglio, il cliente viene informato di quelle che potrebbero essere le principali soluzioni di aggiustamento tattiche che potrebbero essere proposte, al variare delle condizioni di mercato.
In ogni caso, qualsiasi proposta di cambiamento dell’asset allocation avviene nella logica di ridurre il rischio del portafoglio, o di riportarlo alla sua condizione iniziale. Ogni proposta è quindi sempre in linea con la propensione al rischio del cliente stesso, sulla base delle informazioni rilevanti ricevute dalla società all’inizio dell’instaurazione del rapporto.
Il cliente viene ovviamente messo nella condizione di selezionare strumenti finanziari nell’ambito di un universo d’investimento molto ampio.
Nell’ambito di quest’offerta viene operata una distinzione tra strumenti che storicamente sono fonti di redditività (c.d. growth-oriented assets) e strumenti difensivi (c.d. conservative assets). I primi diversificano sul comparto azionario, per settori e aree geografiche, sulle materie prime, sia singole che su basket delle stesse, e su ETF obbligazionari corporate. Diversamente, gli strumenti difensivi includono ETF obbligazionari governativi, metalli preziosi, strumenti di mercato monetario e liquidità.
Storicamente, abbiamo anche osservato fasi di mercato in cui strumenti rischiosi (azioni) e strumenti difensivi (obbligazioni governative) si sono mossi in maniera fortemente correlata: per questo la definizione di due grandi famiglie di strumenti finanziari, rischiosi e difensivi, consente di avere sempre delle opzioni a seconda delle fasi di mercato, indipendentemente da singoli, magari temporanei, aumenti di correlazione tra singoli strumenti.
Al di là della retorica su quanto sia necessario avere la giusta mentalità per investire sui mercati finanziari, è indubbio che un certo grado di forza mentale sia necessario per vivere serenamente le diverse fasi sui mercati.
Lo studio e la ricerca sugli strumenti finanziari e sulle logiche operative di gestione del capitale sono la base imprescindibile da cui partire ma la disciplina è il terzo pilastro senza il quale nessun piano d’investimento può funzionare.
La disciplina è fondamentale non solo nelle fasi complesse di mercato ma anche in quelle molto costruttive. L’illusione del controllo o l’avidità possono spingerci a ridurre la diversificazione di portafoglio o, ad esempio, a saltare un ribilanciamento di portafoglio: “in fondo, questa posizione (titolo, ETF o qualsiasi altro strumento) sta andando così bene, perché devo vendere? Perché non investire ancora un po’?”
L’analisi quantitativa serve a rimuove larga parte della discrezionalità delle nostre scelte, ricordandoci l’importanza di un approccio strutturato alla gestione del capitale, ma solo l’esercizio della disciplina fa di noi degli investitori razionali e di successo.
DLD Capital mette a disposizione del cliente una vasta selezione di strumenti finanziari sulla base di logiche che ne valutino soprattutto l’opportunità in termini di costo, performance storica, volatilità e grado di correlazione con i mercati di riferimento: certamente consideriamo singoli titoli, azionari o obbligazionari, e fondi comuni d’investimento. Tuttavia, è indiscutibile che gli ETF negli anni siano diventati nel tempo uno strumento la cui flessibilità operativa è seconda solo a quella dei futures.
In aggiunta, gli ETF offrono un vantaggio notevole sul piano della diversificazione, in particolare con riferimento agli investimenti sul settore dei titoli a bassa capitalizzazione (small caps) e su quello dei titoli obbligazionari speculativi (high yield).
Sul primo fronte, i titoli a bassa capitalizzazione possono contenere un forte rischio specifico ed un errata valutazione del titolo sul piano fondamentale può portare perdite significative e difficilmente recuperabili. Lo stesso titoli inserito in un ETF avrebbe un impatto decisamente più limitato sul portafoglio. Sul secondo, il vantaggio dell’ETF è ancor più significativo: i titoli obbligazionari speculativi possono andare incontro a forti crisi sul piano della liquidità e a perdite di valore tra l’80% ed il 100%, nel caso di fallimento della società. Persino un evento estremo di questa dimensione diventa molto gestibile nel complesso di uno strumento altamente diversificato come un ETF.
Un portafoglio viene sempre costruito in funzione della propensione al rischio del singolo cliente, in linea con quanto previsto dalla normativa Mifid, che prevede una verifica di adeguatezze delle soluzioni d’investimento proposte. Il nostro modello di asset allocation è strutturato propriamente per poter riflettere in maniera più dinamica e granulare la propensione al rischio dell’investitore, in particolare mediante la quantificazione di parametri che possono essere definiti, ed eventualmente aggiornati, in relazione alla propensione al rischio del cliente.
La grande maggioranza dei modelli di robo-advisory sono strutturati nella forma di una replica di modelli di asset allocation statica, con operazioni di ribilanciamento delle posizioni che avvengono ad intervalli regolari, indipendentemente dalle fasi di mercato.
Al contrario il nostro modello di consulenza, in primis, è strutturato in modo da potere cogliere con maggior grado di dettaglio le necessità del cliente. Secondariamente, i nostri modelli prevedono l’adozione di specifiche modalità di intervento di mitigazione del rischio di portafoglio al mutare delle condizioni di mercato.
Nell’esempio sottostante si può osservare il confronto tra un portafoglio di ETF obbligazionari, costruito con una logica rotazionale che ottimizza i pesi dei singoli ETF in relazione alla volatilità degli ultimi tre mesi, ed il suo benchmark, un ETF obbligazionario governativo con duration compresa tra 15 e 30 anni. Su un orizzonte di circa 14 anni (2007 – 2021) possiamo osservare come portafoglio sovraperformi per un lungo periodo il benchmark ma, soprattutto, presenti una volatilità nettamente inferiore: nello specifico la deviazione standard del portafoglio sul periodo considerato è pari al 3.9% annuo, mentre quella del benchmark è pari al 9.8%. In termini di remunerazione del rischio, il portafoglio batte il benchmark sotto tutte le metriche di riferimento (maximum drawdown, Sharpe Ratio, deviazione standard e rapporto tra profitto e maximum drawdown).
Una miglior remunerazione del rischio assunto si traduce in due vantaggi immediati: in primis, in una minor oscillazione del portafoglio a parità di rendimento e, secondariamente, una limitazione del rischio di effettuare riscatti dalla posizione in momenti in cui la stessa è in forte sofferenza. In questo senso, il confronto grafico è molto chiaro.
*Scenario ipotetico a scopo illustrativo. Capitale iniziale: $1.000.000. Questo backtest non considera l’impatto dei costi di transazione. Le performance passate non sono indicative dei risultati futuri.
Consulenza finanziaria integrata
Le Società di Consulenza Finanziaria, o SCF, sono società autorizzate a svolgere la consulenza in materia di investimenti senza detenere fondi o titoli, i quali restano nella esclusiva disponibilità dei clienti. Possono assumere la forma giuridica di società per azioni (S.p.A.) o di società a responsabilità limitata (S.r.l.).
Il presupposto della loro attività è la regolare iscrizione all’albo dell’Organismo di Vigilanza e tenuta dell’albo unico dei Consulenti Finanziari (OCF), in presenza di specifici requisiti di professionalità, onorabilità, indipendenza e di precisi requisiti patrimoniali.
La società di consulenza finanziaria viene remunerata esclusivamente dai clienti per conto dei quali svolge la consulenza in oggetto e gli è espressamente preclusa qualsiasi forma di beneficio e/o onorario da un soggetto diverso dal cliente (c.d. modello a “parcella”)
In misura maggiore rispetto a quanto si osserva in altri paesi europei, gli investitori italiani sono penalizzati da un’industria del risparmio gestito ancora fortemente concentrata nell’offerta di prodotti c.d. a “gestione attiva”. Questi prodotti presentano un profilo di costi decisamente significativo, come evidenziato dal report della European Securities and Market Authority (ESMA) nel 2020: Performance and Costs of Retail Investment Products in the EU.
Il report evidenzia il maggior costo applicato sugli investitori al dettaglio rispetto a quelli istituzionali per i prodotti azionari ed obbligazionari:
Parimenti l’analisi evidenzia l’incapacità di questi prodotti di giustificare i costi con le performance generate:
“Concentrandosi sulla distribuzione e la dispersione dei costi, indipendentemente dal tipo di gestione, questi non corrispondono a performance più elevate, ossia non si osserva alcuna correlazione tra costi del fondo e la sua performance. Per i fondi azionari attivi, i costi sono stati in media tra l’1% e il 3%, indipendentemente dalla performance annua lorda”.
Sul piano geografico, il report evidenzia inoltre come l’Italia sia uno dei paesi meno competitivi sul piano dei costi:
“Indicativamente, tra le giurisdizioni sono osservabili differenze in termini di livelli di costo per lo stesso tipo di canale distributivo. Ad esempio, concentrandosi sui fondi azionari, i distributori bancari addebitano costi più elevati in Italia e Grecia, rispetto a Finlandia, Malta o Slovacchia…. In media in Italia i costi sembrano essere più alti nel confronto con gli altri dodici paesi per i quali sono disponibili i dati”.
Lo stessa ricerca evidenzia la costante crescita degli ETF, ossia di prodotti ad indicizzazione passiva, i cui costi si aggirano intorno allo 0.1% – 0.3% annuo.
Gli ETF sono strumenti che replicano passivamente l’andamento di uno strumento finanziario e, oltre a presentare un profilo di costi di circa l’80-90%% inferiore rispetto ai prodotti attivi, consentono una flessibilità operativa all’investitore impensabile con molti prodotti attivi.
In conclusione, al netto della parcella da riconoscere alla SCF, il ricorso ad una serie di prodotti più efficienti, che comprende ma non si limita agli ETF, consente al risparmiatore di conseguire da subito risparmi netti molto significativi in termini di costo di gestione del portafoglio.
Waitin’On a Sunny Day
In più di una circostanza ho sottolineato come uno dei rischi principali in questo lavoro risieda nell’avere posizioni predittive rispetto all’evoluzione dei mercati. Questa dinamica emerge frequentemente dal confronto con i colleghi dove, inevitabilmente, si finisce per proiettare livelli e tempistiche entro le quali prevediamo, appunto, che si verificherà questo o quell’evento. Personalmente, ritengo che dovremmo limitarci a leggere la narrativa che i numeri mettono sotto i nostri occhi, senza con questo “innamorarci”, per quanto possibile, di uno scenario piuttosto che di un altro.
Si è appena chiusa una settimana caratterizzata da un deciso rimbalzo dell’obbligazionario e, soprattutto, del mercato azionario. Una serie di fattori ha concorso a quanto osservato: la correzione delle materie prime e, soprattutto, la parziale compressione dei rendimenti obbligazionari, tanto negli Stati Uniti quanto in Europa. La possibilità di un’estensione di questo rimbalzo è molto probabile ma, ovviamente, la questione più significativa è se questo rimbalzo possa ad oggi essere identificato come un “bottom” del bear market di questo 2022. Andiamo con ordine.
Nella correzione del mercato azionario di questi mesi il settore più colpito è stato quello tecnologico, mentre gli unici rendimenti positivi sono stati quelli del comparto delle utilities e dell’energy. Nelle ultime quattro settimane, questo stato di cose ha evidenziato un primo significativo cambio di rotta. Come evidenziato dal quadrante sottostante, dove sono stati inseriti i principali ETF settoriali americani, il comparto dell’energy (XLE), dell’immobiliare (XLRE) e delle utilities (XLU) è uscito dal quadrante “leading” ed è entrato in quello “weakening”, mentre, al contrario, i progressi più significativi sono stati registrati da quello tecnologico (XLK).
Espresso in termini di rendimento percentuale, è molto evidente come il comparto che ha meglio performato in questi mesi, quello dei materiali di base e dell’energetico, ha dato vita ad una correzione molto profonda nelle ultime quattro settimane.
Una ripresa di forza relativa di alcuni settori particolarmente penalizzati, in primis quello tecnologico, va inquadrato nell’ambito di quello che ad oggi resta un rimbalzo nel quadro di un trend ribassista. Come sempre, per avere un’idea più concreta di quanto osservato sul comparto azionario, verifichiamo anche quali indicazioni ci vengono fornite dal fronte obbligazionario.
Come noto, il comparto del credito viene da una delle più grandi correzioni dal 1980. In questo senso, il Dow Jones Corporate Bond Index, il principale indice obbligazionario corporate USA, è in una condizione di ipervenduto superiore anche a quella osservata nella crisi del 2008-2009. Tuttavia, se osserviamo la dinamica di prezzo delle ultime settimane, si osserva una divergenza rialzista su base settimanale, con l’indicatore MACD (Moving Average Convergence Divergence) che ha fatto registrare minimi crescenti, mentre le chiusure settimanali dei prezzi ancora non segnalano un’inversione del trend. In un contesto simile è importante ricordare che una divergenza rialzista è un solo set-up tecnico e, perché possa passare dal rango di set-up a quello di segnale tecnico, è necessario osservare una conferma nella dinamica dei prezzi.
Nell’ottica della relazione tra azionario e obbligazionario, ha quindi senso investigare in che misura la curva dei rendimenti influenzi le aspettative degli investitori su entrambe le asset class. Nella tabella sottostante possiamo osservare l’S&P500 in corrispondenza dei massimi precrisi osservati nel 2000 e nel 2007. Nel 2000 la curva dei rendimenti dei titoli di stato presentava una dinamica c.d. “invertita”, ossia all’aumentare delle scadenze i rendimenti si riducevano: l’inversione della curva generalmente si associa alle attese di un forte rallentamento economico. Nell’estate del 2007 la curva dei rendimenti era più semplicemente piatta, in quella che resta una dinamica dei tassi che “prezza” scenari di rallentamento economico.
Osserviamo ora curva dei rendimenti in corrispondenza della crisi del 2020 e alla chiusura di venerdì scorso. Le curve appaiono decisamente diverse: alla fine di febbraio del 2020 la pendenza della curva era normale, facendo presuppore rendimenti costanti all’aumentare delle scandenze. Osservata alla chiusura di venerdì scorso, la curva dei rendimenti, dal secondo anno in poi, è sostanzialmente piatta. È di tutta evidenza come il confronto della curva dei rendimenti evidenzi aspettative economiche di miglioramento del quadro economico ad aprile del 2020 e di rallentamento a giugno di quest’anno.
Alla chiusura di venerdì l’S&P500 ha perso il 18,13% da inizio anno, dopo aver toccato un drawdown massimo alla chiusura della settimana precedente (-23,82%). Qualora il semestre si chiudesse con una flessione da inizio anno di almeno il 20%, sarebbe la nona occorrenza in cui l’indice chiude un semestre con una flessione simile dalla fine della Seconda guerra mondiale. Nelle otto circostanze precedenti, come ha performato l’indice nei 6-12 mesi successivi e quale è stato il massimo drawdown a 12 mesi?
Il quadro di fondo è piuttosto chiaro: nei prossimi 6-12 mesi dovremmo tornare a vedere buoni rendimenti dal principale indice americano, con un drawdown a 12 mesi di poco superiore al 6%. Ovviamente, non possono sfuggirci le circostanze meno favorevoli come la correzione del 1946, dove assistemmo ad un’estensione della correzione e a performance a 6-12 mesi molto modeste, e quella del 2008, dove l’estensione della correzione fu molto profonda.
Uno dei fattori che chiaramente incide maggiormente in questa fase è la dinamica dei tassi d’interesse. Con il rialzo di giugno la Fed ha realizzato il più significativo singolo rialzo dei Fed Funds dal 1994.
Tra gennaio del 1994 e marzo del 1995, la Fed portò il tasso di riferimento dal 3% al 6%: in quel periodo l’S&P500 registrò una performance del 7,35% con un maximum drawdown del 10,79%, a conferma di quanto le fasi di rialzo dei tassi d’interesse non sia sinonimo di flessione sugli indici azionari ma, presumibilmente, di maggior volatilità complessiva.
Dove potrebbe spingersi il rimbalzo attuale? Nel commento del 5 giugno scorso abbiamo evidenziato come i rally da “bear market” nelle due precedenti recessioni, del 2000 – 2002 e 2007 – 2009, siano stati in media del 10% circa: questo implicherebbe una possibile estensione del rimbalzo fino ad area 4.050-4.100.
Il secondo elemento che ha presumibilmente inciso sul recente rimbalzo è la correzione delle materie prime, con l’indice Jeffries CRB Index che ha chiuso in flessione del 10,05% dai massimi del 5 giugno scorso. Un particolare di rilievo è il dato dalla correlazione a due anni dell’indice stesso con l’S&P500 e l’indice Dow Jones Corporate Bond, che in entrambi i casi scambia sui minimi dall’Aprile 2019.
Naturalmente, un cambio delle correlazioni tra materie prime, azionario ed obbligazionario non implica necessariamente un cambio o un’inversione anche nella dinamica dei prezzi. Tuttavia, da livelli di correlazione così negativi è lecito attendersi un ritorno a livelli maggiormente positivi. Applicando la logica più elementare, questo potrebbe implicare una risalita dell’azionario e dell’obbligazionario, ed un mantenimento dell’uptrend delle materie prime o, diversamente, un’estensione della correzione dell’azionario e dell’obbligazionario che si sommi all’inizio di una flessione delle materie prime.
In conclusione, la seduta della settimana che si è appena conclusa ha visto un deciso impulso rialzista tanto sul mercato azionario quanto su quello obbligazionario. Tutto ciò è avvenuto in concomitanza con una prima correzione delle materie prime e una serie di messaggi dovish da parte di esponenti della Fed e della BCE. Questi primi segnali potrebbero rafforzarsi nel corso delle prossime sedute, soprattutto nel caso in cui le aspettative sull’inflazione futura dovessero ulteriormente spingersi al ribasso. Resta il quadro di un ciclo economico in rallentamento, come evidenziato anche dalla curva dei rendimenti negli Stati Uniti e, se anche questo rimbalzo si consolidasse, resteremmo ancora in un rally da bear market. Almeno per ora.
“Quando si entra in un periodo di cambiamenti strutturali, la maggior parte delle strategie di portafoglio è destinata al fallimento”. Christophe Cole, Artemis Capital Management.
Disclaimer:
Questo documento assume natura educativa e non può essere considerato attività di consulenza finanziaria indipendente. L’autore o DLD Capital SCF S.r.l. non sono responsabili delle decisioni che potrebbero essere intraprese a seguito della lettura di questo articolo. Prima di assumere scelte d’investimento, suggeriamo di rivolgervi ad un consulente finanziario iscritto all’Organismo di vigilanza e tenuta dell’albo unico dei consulenti finanziari (www.organismocf.it).