Sede Legale: Viale Parioli 112, 00197 Roma Telefono: 0692915064 Email: info@dldcapital.it
Condizioni Economiche
Si. DLD Capital SCF offre il servizio di consulenza finanziaria per patrimoni di importo non inferiore ai 500.000€
Il valore della commissione viene calcolato in percentuale sul patrimonio oggetto della consulenza. Per patrimoni di dimensioni rilevanti la società si riserva di proporre un piano commissionale agevolato.
Il pagamento della commissione annuale di consulenza viene suddiviso in due rate semestrali ed è corrisposto anticipatamente.
In aggiunta alle comunicazioni previste per legge e ai regolari incontri con la clientela, DLD Capital pubblica un report settimanale in cui vengono analizzati, in chiave logico-statistica, i più recenti eventi economico-finanziari ed il loro impatto sui mercati finanziari.
Suggeriamo ai clienti di ritagliare un regolare spazio del loro tempo per la lettura del report settimanale: il documento è il risultato di un costante lavoro di analisi delle più recenti dinamiche osservate sui mercati. La disciplina sui mercati finanziari viene dalla fiducia e questa viene dalla costante analisi delle informazioni a nostra disposizione: un investitore informato ha una probabilità di successo decisamente maggiore rispetto a quella di uno meno consapevole.
Pianificazione Finanziaria
I criteri classici della consulenza finanziaria in Italia si basano sull’utilizzo di modelli di asset allocation di tipo statico, confezionati mediante l’offerta di un paniere di strumenti finanziari che vanno a configurare un portafoglio di base, il quale resta sostanzialmente lo stesso per un periodo di tempo indefinito.
In DLD riteniamo che l’asset allocation statica non sia sufficiente e che, a questa, sia necessario abbinare modelli di asset allocation dinamica: l’obiettivo è offrire l’opportunità di variare l’esposizione complessiva al rischio al variare delle condizioni di mercato, isolando gli specifici fattori di rischio delle asset class in portafoglio.
In aggiunta, riteniamo fondamentale disporre di specifici protocolli d’intervento a difesa del portafoglio, al verificarsi di specifiche condizioni di mercato. Ciò può comportare una temporanea sovraesposizione su strumenti finanziari tipicamente più difensivi ed una sottoesposizione alle asset class più rischiose.
Tutti i nostri modelli sono il risultato di rigorosa analisi quantitativa e si rifanno alla vasta letteratura esistente in materia di quantitative investing.
Il capitale investibile è frutto del lavoro e del risparmio accumulato nel corso degli anni e nessun investitore vuole trovarsi strategicamente impreparato di fronte alle flessioni dei prezzi che storicamente e ciclicamente si verificano sui mercati finanziari.
Utilizzare un approccio “compra e tieni” (c.d. buy and hold) ha senso solo se si riesce a restare investiti per il 100% della propria vita da investitore. Tuttavia, la storia dei mercati finanziari è costellata di periodi storici molto complessi: momenti in cui sarebbe stato molto difficile restare sereni semplicemente pensando che “nel lungo periodo i mercati si riprenderanno”.
Se guardiamo alle serie storiche, osserviamo come persino sull’S&P500, l’indice azionario americano che storicamente ha manifestato la maggior tendenza rialzista nel lungo periodo, si è assistito a correzioni molto profonde e che hanno prodotto notevoli riduzioni della ricchezza per quanti si fossero trovati pienamente investiti in quel momento.
Periodo (S&P500) | Drawdown* | Capitale iniziale ($) | Capitale finale ($) |
10/2007 – 3/2009 | -56.80% | 1.000.000 | 432.000 |
3/2000 – 10/2002 | -49.20% | 1.000.000 | 508.000 |
12/1973 – 3/1974 | -48.20% | 1.000.000 | 518.000 |
2/1968 – 5/1970 | -36.10% | 1.000.000 | 639.000 |
2/2020 – 3/2020 | -35.75% | 1.000.000 | 642.000 |
8/1987 – 12/1987 | -33.50% | 1.000.000 | 665.000 |
12/1961 – 6/1962 | -28.00% | 1.000.000 | 720.000 |
1/1980 – 8/1982 | -27.10% | 1.000.000 | 729.000 |
*La tabella ha carattere informativo. Il nostro approccio mira a limitare, e non ad eliminare, gli effetti di una correzione ciclica sui portafogli. Sebbene il nostro approccio si basi sull’analisi quantitativa delle serie storiche, non esistono garanzie sui mercati finanziari.
*Massima correzione dai massimi
Diversamente dall’approccio “compra e tieni”, l’applicazione di logiche quantitative, o Rules-Based, alle scelte di d’investimento, consente di disporre costantemente di strategie di mitigazione del rischio, da attuare al variare delle condizioni di mercato.
L’obiettivo non è conseguire rendimenti superiori agli indici di riferimento ma bensì contenere il rischio, non essere mai strategicamente impreparati di fronte alle fase di correzione e vivere più serenamente ogni fase di mercato.
“Investire nel lungo periodo è una buona idea se sei grande quanto una sequoia, una tartaruga gigante o una fondazione molto capitalizzata, ma gli individui non hanno un orizzonte di venti anni per riprendersi dalle grandi flessioni dei mercati”
(The Ivy Portfolio: How to invest like the top endowments and avoid bear markets di Mebane T. Faber e Eric W. Richardson)
La diversificazione è il primo strumento di mitigazione del rischio per l’investitore. Tuttavia, è storicamente provato come, oltre una certa soglia di strumenti in portafoglio, l’effetto complessivo di mitigazione del rischio diventa marginale.
L’inclusione di ulteriori strumenti finanziari in portafoglio, in assenza di comprovata verifica della capacità degli stessi di migliorare il profilo di rischio dello stesso, è non solo inutile ma potenzialmente incredibilmente dannosa, se inserita in una logica di portafoglio c.d. “compra e tieni”.
Se escludiamo gli strumenti che storicamente presentano il maggior “bias” rialzista, come ad esempio alcuni indici azionari globali, la gran parte degli strumenti finanziari non hanno la tendenza a salire nel lungo periodo. Basti osservare la performance dell’indice italiano FTSE MIB nel periodo 2004 – 2021:
Di fronte ad una flessione come quella della recessione 2008 – 2009 non avrebbe avuto alcun senso attendere una ripresa dell’indice: una ripresa che non si è mai verificata e che avrebbe lasciato l’investitore con una perdita durevole di valore ed un capitale che negli anni successivi non ha generato alcun rendimento. Le medesime considerazioni si possono estendere ad una larga serie di strumenti come azioni, obbligazioni e materie prime.
Persino l’indice S&P500, nonostante la sua storicamente comprovata forza rialzista, in diversi periodi storici è andato incontro a correzioni significative, impiegando anni a tornare sui livelli pre-correzione. Il grafico sottostante è l’S&P500 nel periodo 2000 – 2013. Qualora un investitore avesse allocato il suo capitale sull’indice americano nel Marzo del 2000, avrebbe avuto la possibilità di recuperare pienamente il suo capitale dopo otto anni, salvo poi andare incontro ad un’altra correzione e recuperarlo definitivamente ad Aprile del 2013. Tredici anni per recuperare il proprio capitale iniziale e nessun rendimento.
L’alternativa? Investire in quelle logiche di asset allocation, sia statica che dinamica, che negli anni hanno dimostrato di performare al meglio, includere in portafoglio solo gli strumenti che alla prova dei fatti migliorano il profilo di rischio complessivo del portafoglio, riducendone la volatilità, ed isolare i singoli fattori di rischio del portafoglio, gestendone i riflessi nelle diverse fasi di mercato.
I risultati straordinari naturalmente attraggono attenzione, ma gli osservatori più attenti sanno che il vero segreto del grande successo finanziario della fondazione di Harvard si chiama difesa, difesa e ancora difesa. Ma come, potreste chiedervi, può la sola difesa essere così centrale nel raggiungimento di risultati finanziari così straordinariamente positivi? Partendo dalla storica verità sul successo nel campo della finanza, ossia che quando semplicemente eliminiamo le perdite più rilevanti i risultati vengono da soli, dobbiamo sempre tenere a mente l’importanza dello stare lontano dai guai.
(Charles Ellis, Presidente del Comitato Investimenti, Università di Harvard)
No. Trading ed investing sono due attività profondamente diverse: entrambe utilizzano l’analisi quantitativa come primo strumento di analisi ed approfondimento ma le logiche operative, di costruzione e di gestione dei portafogli sono del tutto diverse. Sfruttare logiche dinamiche di costruzione di portafoglio non implica in alcun modo entrare ed uscire costantemente dal mercato.
Generare rendimenti significativi in mercati rialzisti senza avere una strategia per gestire mercati ribassisti è il più grave degli errori e può portare a distruggere in pochi mesi quanto guadagnato nel corso degli anni.
L’effetto dell’interesse composto (c.d. compounding) è un principio matematico che funziona tanto nella crescita del capitale quanto nella sua erosione.
Supponiamo di avere due portafogli: il primo opera secondo un logica “compra e tieni”, mentre il secondo unisce ad un asset allocation statica una serie di protocolli di asset allocation dinamica, al fine di gestire con buona flessibilità le diverse fasi di mercato:
Portafoglio 1* |
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Anno | Capitale iniziale ($) | Rendimento | Capitale finale ($) |
1 | 200.000 | 20.00% | 240.000 |
2 | 240.000 | 15.00% | 276.000 |
3 | 276.000 | 15.00% | 317.400 |
4 | 317.400 | 20.00% | 380.880 |
5 | 380.880 | -35.00% | 247.572 |
*Scenario ipotetico a scopo illustrativo
Portafoglio 2* |
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Anno | Capitale iniziale ($) | Rendimento | Capitale finale ($) |
1 | 200.000 | 10.00% | 220.000 |
2 | 220.000 | 7.50% | 236.500 |
3 | 236.500 | 7.50% | 254.238 |
4 | 254.238 | 10.00% | 279.661 |
5 | 279.661 | -5.00% | 265.678 |
*Scenario ipotetico a scopo illustrativo
Possiamo osservare che il portafoglio 1 ha realizzato una performance doppia rispetto a quella del portafoglio 2 per quattro anni consecutivi. Nel quinto, tuttavia, la gestione attiva del rischio ha consentito al portafoglio 2 di difendersi meglio e ridurre la perdita complessiva, al contrario di quanto avvenuto per il portafoglio 1, che è impostato in una logica di asset allocation statica. Al termine del quinto anno, il portafoglio 2 avrà non solo sperimentato una minor volatilità complessiva nell’arco dei cinque anni ma avrà anche conseguito un risultato superiore in termini di rendimento assoluto.
Troppo spesso ci si dimentica che il principio dell’interesse composto è un arma a doppio taglio: può operare tanto a nostro favore nelle fasi di rialzo quanto a nostro sfavore in quelle di ribasso.
Questo semplice esempio spiega perché conseguire una performance superiore al benchmark è un obiettivo poco rilevante per l’investitore mentre, ai fini della costruzione e preservazione del capitale, ben altra rilevanza assume avere una strategia di contenimento delle fasi di correzione.
Il nostro cliente tipicamente dispone di un buon capitale accumulato negli anni ed è interessato a proteggerlo dai momenti di inevitabile fragilità dei mercati finanziari, pur volendo partecipare alle lunghe fasi di rialzo che storicamente si osservano sugli stessi.
In aggiunta, egli riconosce l’importanza di avere una corretta impostazione d’investimento per il proprio patrimonio e, al contempo, di disporre sempre di uno o più linee d’intervento sul suo portafoglio in presenza di un mutato scenario di mercato: una opportunità che un sistema di private banking centrato su modelli di asset allocation statica non può offrire.
In linea con quanto previsto dalla legge, il cliente viene classificato rispetto al suo profilo di rischio, al fine di valutare l’adeguatezza delle soluzioni d’investimento proposte.
Una volta definito il quadro di asset allocation strategica rispetto al quale viene costruito il portafoglio, il cliente viene informato di quelle che potrebbero essere le principali soluzioni di aggiustamento tattiche che potrebbero essere proposte, al variare delle condizioni di mercato.
In ogni caso, qualsiasi proposta di cambiamento dell’asset allocation avviene nella logica di ridurre il rischio del portafoglio, o di riportarlo alla sua condizione iniziale. Ogni proposta è quindi sempre in linea con la propensione al rischio del cliente stesso, sulla base delle informazioni rilevanti ricevute dalla società all’inizio dell’instaurazione del rapporto.
Il cliente viene ovviamente messo nella condizione di selezionare strumenti finanziari nell’ambito di un universo d’investimento molto ampio.
Nell’ambito di quest’offerta viene operata una distinzione tra strumenti che storicamente sono fonti di redditività (c.d. growth-oriented assets) e strumenti difensivi (c.d. conservative assets). I primi diversificano sul comparto azionario, per settori e aree geografiche, sulle materie prime, sia singole che su basket delle stesse, e su ETF obbligazionari corporate. Diversamente, gli strumenti difensivi includono ETF obbligazionari governativi, metalli preziosi, strumenti di mercato monetario e liquidità.
Storicamente, abbiamo anche osservato fasi di mercato in cui strumenti rischiosi (azioni) e strumenti difensivi (obbligazioni governative) si sono mossi in maniera fortemente correlata: per questo la definizione di due grandi famiglie di strumenti finanziari, rischiosi e difensivi, consente di avere sempre delle opzioni a seconda delle fasi di mercato, indipendentemente da singoli, magari temporanei, aumenti di correlazione tra singoli strumenti.
Al di là della retorica su quanto sia necessario avere la giusta mentalità per investire sui mercati finanziari, è indubbio che un certo grado di forza mentale sia necessario per vivere serenamente le diverse fasi sui mercati.
Lo studio e la ricerca sugli strumenti finanziari e sulle logiche operative di gestione del capitale sono la base imprescindibile da cui partire ma la disciplina è il terzo pilastro senza il quale nessun piano d’investimento può funzionare.
La disciplina è fondamentale non solo nelle fasi complesse di mercato ma anche in quelle molto costruttive. L’illusione del controllo o l’avidità possono spingerci a ridurre la diversificazione di portafoglio o, ad esempio, a saltare un ribilanciamento di portafoglio: “in fondo, questa posizione (titolo, ETF o qualsiasi altro strumento) sta andando così bene, perché devo vendere? Perché non investire ancora un po’?”
L’analisi quantitativa serve a rimuove larga parte della discrezionalità delle nostre scelte, ricordandoci l’importanza di un approccio strutturato alla gestione del capitale, ma solo l’esercizio della disciplina fa di noi degli investitori razionali e di successo.
DLD Capital mette a disposizione del cliente una vasta selezione di strumenti finanziari sulla base di logiche che ne valutino soprattutto l’opportunità in termini di costo, performance storica, volatilità e grado di correlazione con i mercati di riferimento: certamente consideriamo singoli titoli, azionari o obbligazionari, e fondi comuni d’investimento. Tuttavia, è indiscutibile che gli ETF negli anni siano diventati nel tempo uno strumento la cui flessibilità operativa è seconda solo a quella dei futures.
In aggiunta, gli ETF offrono un vantaggio notevole sul piano della diversificazione, in particolare con riferimento agli investimenti sul settore dei titoli a bassa capitalizzazione (small caps) e su quello dei titoli obbligazionari speculativi (high yield).
Sul primo fronte, i titoli a bassa capitalizzazione possono contenere un forte rischio specifico ed un errata valutazione del titolo sul piano fondamentale può portare perdite significative e difficilmente recuperabili. Lo stesso titoli inserito in un ETF avrebbe un impatto decisamente più limitato sul portafoglio. Sul secondo, il vantaggio dell’ETF è ancor più significativo: i titoli obbligazionari speculativi possono andare incontro a forti crisi sul piano della liquidità e a perdite di valore tra l’80% ed il 100%, nel caso di fallimento della società. Persino un evento estremo di questa dimensione diventa molto gestibile nel complesso di uno strumento altamente diversificato come un ETF.
Un portafoglio viene sempre costruito in funzione della propensione al rischio del singolo cliente, in linea con quanto previsto dalla normativa Mifid, che prevede una verifica di adeguatezze delle soluzioni d’investimento proposte. Il nostro modello di asset allocation è strutturato propriamente per poter riflettere in maniera più dinamica e granulare la propensione al rischio dell’investitore, in particolare mediante la quantificazione di parametri che possono essere definiti, ed eventualmente aggiornati, in relazione alla propensione al rischio del cliente.
La grande maggioranza dei modelli di robo-advisory sono strutturati nella forma di una replica di modelli di asset allocation statica, con operazioni di ribilanciamento delle posizioni che avvengono ad intervalli regolari, indipendentemente dalle fasi di mercato.
Al contrario il nostro modello di consulenza, in primis, è strutturato in modo da potere cogliere con maggior grado di dettaglio le necessità del cliente. Secondariamente, i nostri modelli prevedono l’adozione di specifiche modalità di intervento di mitigazione del rischio di portafoglio al mutare delle condizioni di mercato.
Nell’esempio sottostante si può osservare il confronto tra un portafoglio di ETF obbligazionari, costruito con una logica rotazionale che ottimizza i pesi dei singoli ETF in relazione alla volatilità degli ultimi tre mesi, ed il suo benchmark, un ETF obbligazionario governativo con duration compresa tra 15 e 30 anni. Su un orizzonte di circa 14 anni (2007 – 2021) possiamo osservare come portafoglio sovraperformi per un lungo periodo il benchmark ma, soprattutto, presenti una volatilità nettamente inferiore: nello specifico la deviazione standard del portafoglio sul periodo considerato è pari al 3.9% annuo, mentre quella del benchmark è pari al 9.8%. In termini di remunerazione del rischio, il portafoglio batte il benchmark sotto tutte le metriche di riferimento (maximum drawdown, Sharpe Ratio, deviazione standard e rapporto tra profitto e maximum drawdown).
Una miglior remunerazione del rischio assunto si traduce in due vantaggi immediati: in primis, in una minor oscillazione del portafoglio a parità di rendimento e, secondariamente, una limitazione del rischio di effettuare riscatti dalla posizione in momenti in cui la stessa è in forte sofferenza. In questo senso, il confronto grafico è molto chiaro.
*Scenario ipotetico a scopo illustrativo. Capitale iniziale: $1.000.000. Questo backtest non considera l’impatto dei costi di transazione. Le performance passate non sono indicative dei risultati futuri.
Consulenza finanziaria integrata
Le Società di Consulenza Finanziaria, o SCF, sono società autorizzate a svolgere la consulenza in materia di investimenti senza detenere fondi o titoli, i quali restano nella esclusiva disponibilità dei clienti. Possono assumere la forma giuridica di società per azioni (S.p.A.) o di società a responsabilità limitata (S.r.l.).
Il presupposto della loro attività è la regolare iscrizione all’albo dell’Organismo di Vigilanza e tenuta dell’albo unico dei Consulenti Finanziari (OCF), in presenza di specifici requisiti di professionalità, onorabilità, indipendenza e di precisi requisiti patrimoniali.
La società di consulenza finanziaria viene remunerata esclusivamente dai clienti per conto dei quali svolge la consulenza in oggetto e gli è espressamente preclusa qualsiasi forma di beneficio e/o onorario da un soggetto diverso dal cliente (c.d. modello a “parcella”)
In misura maggiore rispetto a quanto si osserva in altri paesi europei, gli investitori italiani sono penalizzati da un’industria del risparmio gestito ancora fortemente concentrata nell’offerta di prodotti c.d. a “gestione attiva”. Questi prodotti presentano un profilo di costi decisamente significativo, come evidenziato dal report della European Securities and Market Authority (ESMA) nel 2020: Performance and Costs of Retail Investment Products in the EU.
Il report evidenzia il maggior costo applicato sugli investitori al dettaglio rispetto a quelli istituzionali per i prodotti azionari ed obbligazionari:
Parimenti l’analisi evidenzia l’incapacità di questi prodotti di giustificare i costi con le performance generate:
“Concentrandosi sulla distribuzione e la dispersione dei costi, indipendentemente dal tipo di gestione, questi non corrispondono a performance più elevate, ossia non si osserva alcuna correlazione tra costi del fondo e la sua performance. Per i fondi azionari attivi, i costi sono stati in media tra l’1% e il 3%, indipendentemente dalla performance annua lorda”.
Sul piano geografico, il report evidenzia inoltre come l’Italia sia uno dei paesi meno competitivi sul piano dei costi:
“Indicativamente, tra le giurisdizioni sono osservabili differenze in termini di livelli di costo per lo stesso tipo di canale distributivo. Ad esempio, concentrandosi sui fondi azionari, i distributori bancari addebitano costi più elevati in Italia e Grecia, rispetto a Finlandia, Malta o Slovacchia…. In media in Italia i costi sembrano essere più alti nel confronto con gli altri dodici paesi per i quali sono disponibili i dati”.
Lo stessa ricerca evidenzia la costante crescita degli ETF, ossia di prodotti ad indicizzazione passiva, i cui costi si aggirano intorno allo 0.1% – 0.3% annuo.
Gli ETF sono strumenti che replicano passivamente l’andamento di uno strumento finanziario e, oltre a presentare un profilo di costi di circa l’80-90%% inferiore rispetto ai prodotti attivi, consentono una flessibilità operativa all’investitore impensabile con molti prodotti attivi.
In conclusione, al netto della parcella da riconoscere alla SCF, il ricorso ad una serie di prodotti più efficienti, che comprende ma non si limita agli ETF, consente al risparmiatore di conseguire da subito risparmi netti molto significativi in termini di costo di gestione del portafoglio.
Indici sotto i minimi di giugno: sullo spartiacque di un “long” bear market
In questa professione avere torto o ragione è quasi sempre una questione relativa: ogni investitore con un certo grado di esperienza è consapevole che successi e sconfitte spesso si compensano e che, piuttosto, è il “quantum” di entrambe le voci a determinare il suo destino sul piano dei rendimenti.
In linea con quanto osservato nelle settimane precedenti, nella settimana che si è appena conclusa, e precisamente sul finale della seduta di venerdì, S&P500 e Nasdaq hanno chiuso sotto i minimi del 16 giugno scorso. È quasi superfluo sottolineare la significatività di questo segnale e la serietà con cui dobbiamo considerarlo.
Nel quadro delle analisi sviluppate nelle settimane precedenti, avevamo identificato un totale di undici bear market dal 1960 ad oggi. Sei di questi hanno avuto una dimensione simile a quella osservata, finora, nel 2022 ed un orizzonte di sviluppo intorno ai dodici mesi. Gli altri cinque hanno avuto una durata media intorno ai due anni ed un maximum drawdown medio pari al 43,46%.
A complemento di questa verifica puramente statistica, abbiamo ipotizzato quali potrebbero essere i prossimi livelli di riferimento dell’S&P500, considerando una compressione del P/E dall’attuale 16X ad un più contenuto 14X, oltre ad una riduzione del tasso di crescita degli utili attesi dal 10% di inizio anno fino ad un ipotetico 0%.
L’elemento più significativo della recente rottura dei minimi di giugno è la possibile apertura di ulteriori spazi di ribasso per gli indici azionari: possiamo solo ipotizzare dove la correzione potrebbe estendersi ma sappiamo che più tempo gli indici scambieranno sotto questi livelli e più significativo sarà il messaggio associato a questo stato di cose.
Preso atto della formazione di nuovi minimi, ha quindi senso domandarsi se le indicazioni al livello settoriale possano fornirci qualche indicazione significativa.
Al netto di alcune differenze di performance, la caratteristica di questa flessione è di aver investito tutti i settori, come le performance degli ultimi due mesi ben evidenziano.
Tuttavia, se anche gli ultimi due mesi possono non averci fornito indicazioni significative, nel nostro tentativo di comprendere se, e in che misura, questa correzione possa mutare in un “long bear market”, ha verosimilmente senso domandarci quali furono le performance settoriali nei due bear market dove abbiamo a disposizione dati omogenei, privi di survivorship bias, ossia nel periodo 2000-2002 e nel 2007-2009.
Come osserviamo, le due grandi correzioni del terzo millennio sono state caratterizzate dalla crisi sistemica di due specifici comparti industriali: quello tecnologico (2000) e quello finanziario (2008). Tuttavia, una linea comune può essere estratta: in media, in entrambe le circostanze il settore più performante è stato quello dei Consumer Staples, mentre quello maggiormente penalizzato è stato quello tecnologico.
Confrontiamo ora la media dei due periodi considerati con le performance da inizio anno.
Come osserviamo, il tratto comune di una sovraperformance dei Consumer Staples ed una sottoperformance dei titoli tecnologici resta ma con una notevole eccezione: la performance nettamente positiva del comparto Energy. La presenza di un singolo settore così ben performante nel pieno di un bear market rappresenta un’assoluta eccezione e, potenzialmente, un’indicazione molto utile per la lettura di quanto accadrà sui singoli settori industriali.
Nello specifico, se confrontiamo la correzione attuale con quella media dei due bienni considerati, è interessante notare come la flessione del comparto Consumer Staples da inizio abbia già raggiunto un livello storicamente significativo (-11,40%), mentre quello tecnologico sia ancora lontano dalla flessione media delle ultime due recessioni (-31,51% vs -60,44%).
Se uniamo queste osservazioni alla rilevazione di quanto verificatosi sul comparto Energy, questo stato di cose descrive uno stato dell’arte piuttosto chiaro: il mercato deve ancora dar vita al suo repricing più significativo sul comparto Technology, ossia su quello che incide maggiormente sulle valutazioni, e su quello Energy, che da inizio anno si è mosso in piena decorrelazione rispetto al mercato azionario nel suo complesso.
Come sempre, a fronte di un quadro di progressivo deterioramento del fronte azionario, è naturale verificare se nell’ultima settimana siano arrivati segnali maggiormente costruttivi su quello obbligazionario.
Sotto questo profilo le dinamiche di prezzo hanno evidenziato la formazione di nuovi minimi su base settimanale e nessun set-up o segnale d’inversione. In questo senso, giova sottolineare come l’ETF TLT, il principale ETF obbligazionario che abbia come sottostanti i Treasuries USA con scadenza superiore ai 20 anni, abbia nel corso di solo quest’anno sperimentato una correzione pari al 50% del rialzo del sviluppatosi nel ventennio 2002-2022.
Questa dinamica è confermata anche dalla dinamica della forza relativa tra i Treasuries indicizzati all’inflazione e quelli non indicizzati, giunta sui minimi dal 2014.
Restando sul fronte obbligazionario, è incoraggiante invece registrare come le aspettative inflazionistiche a 5 anni continuino a flettere dal massimo del mese di aprile. Questo stato di cose, presto o tardi, favorirà una stabilizzazione dei rendimenti e quindi del comparto obbligazionario: semplicemente oggi non la osserviamo nei prezzi.
Venendo alle conclusioni, la formazione di nuovi minimi di periodo su S&P500 e Nasdaq è un segnale che si allinea alla prosecuzione del downtrend che si era osservato nel corso delle settimane precedenti su altri indici azionari. In questo contesto, la costante salita dei rendimenti sul comparto obbligazionario continua a fornirci una conferma del quadro di piena correzione su entrambe le asset class. Le notizie positive vengono dai segnali di rallentamento delle aspettative inflazionistiche, sebbene queste non siano finora sufficienti a modificare lo stato di cose fin qui descritto. In questa fase è quindi tanto importante guardare al quadro d’insieme quanto non sottovalutare i segnali costruttivi, nella proiezione delle indubbie opportunità che i mercati nel prossimo futuro ci metteranno a disposizione.
Si apre una nuova fase di questo mercato e verosimilmente non sarà facile: come sempre, l’ossessione analitica e l’umiltà massima sono i mezzi principali con i quali definiremo il “quantum” dei nostri successi e insuccessi come investitori.
“Quel poco che ho visto del mondo mi ha insegnato a guardare agli errori degli altri con comprensione e non con risentimento”.
Henry Wadsworth Longfellow
Disclaimer:
Questo documento assume natura educativa e non può essere considerato attività di consulenza finanziaria indipendente. L’autore o DLD Capital SCF S.r.l. non sono responsabili delle decisioni che potrebbero essere intraprese a seguito della lettura di questo articolo. Prima di assumere scelte d’investimento, suggeriamo di rivolgervi ad un consulente finanziario iscritto all’Organismo di vigilanza e tenuta dell’albo unico dei consulenti finanziari (www.organismocf.it).