Sede Legale: Viale Parioli 112, 00197 Roma Telefono: 0692915064 Email: info@dldcapital.it
Condizioni Economiche
Si. DLD Capital SCF offre il servizio di consulenza finanziaria per patrimoni di importo non inferiore ai 500.000€
Il valore della commissione viene calcolato in percentuale sul patrimonio oggetto della consulenza. Per patrimoni di dimensioni rilevanti la società si riserva di proporre un piano commissionale agevolato.
Il pagamento della commissione annuale di consulenza viene suddiviso in due rate semestrali ed è corrisposto anticipatamente.
In aggiunta alle comunicazioni previste per legge e ai regolari incontri con la clientela, DLD Capital pubblica un report settimanale in cui vengono analizzati, in chiave logico-statistica, i più recenti eventi economico-finanziari ed il loro impatto sui mercati finanziari.
Suggeriamo ai clienti di ritagliare un regolare spazio del loro tempo per la lettura del report settimanale: il documento è il risultato di un costante lavoro di analisi delle più recenti dinamiche osservate sui mercati. La disciplina sui mercati finanziari viene dalla fiducia e questa viene dalla costante analisi delle informazioni a nostra disposizione: un investitore informato ha una probabilità di successo decisamente maggiore rispetto a quella di uno meno consapevole.
Pianificazione Finanziaria
I criteri classici della consulenza finanziaria in Italia si basano sull’utilizzo di modelli di asset allocation di tipo statico, confezionati mediante l’offerta di un paniere di strumenti finanziari che vanno a configurare un portafoglio di base, il quale resta sostanzialmente lo stesso per un periodo di tempo indefinito.
In DLD riteniamo che l’asset allocation statica non sia sufficiente e che, a questa, sia necessario abbinare modelli di asset allocation dinamica: l’obiettivo è offrire l’opportunità di variare l’esposizione complessiva al rischio al variare delle condizioni di mercato, isolando gli specifici fattori di rischio delle asset class in portafoglio.
In aggiunta, riteniamo fondamentale disporre di specifici protocolli d’intervento a difesa del portafoglio, al verificarsi di specifiche condizioni di mercato. Ciò può comportare una temporanea sovraesposizione su strumenti finanziari tipicamente più difensivi ed una sottoesposizione alle asset class più rischiose.
Tutti i nostri modelli sono il risultato di rigorosa analisi quantitativa e si rifanno alla vasta letteratura esistente in materia di quantitative investing.
Il capitale investibile è frutto del lavoro e del risparmio accumulato nel corso degli anni e nessun investitore vuole trovarsi strategicamente impreparato di fronte alle flessioni dei prezzi che storicamente e ciclicamente si verificano sui mercati finanziari.
Utilizzare un approccio “compra e tieni” (c.d. buy and hold) ha senso solo se si riesce a restare investiti per il 100% della propria vita da investitore. Tuttavia, la storia dei mercati finanziari è costellata di periodi storici molto complessi: momenti in cui sarebbe stato molto difficile restare sereni semplicemente pensando che “nel lungo periodo i mercati si riprenderanno”.
Se guardiamo alle serie storiche, osserviamo come persino sull’S&P500, l’indice azionario americano che storicamente ha manifestato la maggior tendenza rialzista nel lungo periodo, si è assistito a correzioni molto profonde e che hanno prodotto notevoli riduzioni della ricchezza per quanti si fossero trovati pienamente investiti in quel momento.
Periodo (S&P500) | Drawdown* | Capitale iniziale ($) | Capitale finale ($) |
10/2007 – 3/2009 | -56.80% | 1.000.000 | 432.000 |
3/2000 – 10/2002 | -49.20% | 1.000.000 | 508.000 |
12/1973 – 3/1974 | -48.20% | 1.000.000 | 518.000 |
2/1968 – 5/1970 | -36.10% | 1.000.000 | 639.000 |
2/2020 – 3/2020 | -35.75% | 1.000.000 | 642.000 |
8/1987 – 12/1987 | -33.50% | 1.000.000 | 665.000 |
12/1961 – 6/1962 | -28.00% | 1.000.000 | 720.000 |
1/1980 – 8/1982 | -27.10% | 1.000.000 | 729.000 |
*La tabella ha carattere informativo. Il nostro approccio mira a limitare, e non ad eliminare, gli effetti di una correzione ciclica sui portafogli. Sebbene il nostro approccio si basi sull’analisi quantitativa delle serie storiche, non esistono garanzie sui mercati finanziari.
*Massima correzione dai massimi
Diversamente dall’approccio “compra e tieni”, l’applicazione di logiche quantitative, o Rules-Based, alle scelte di d’investimento, consente di disporre costantemente di strategie di mitigazione del rischio, da attuare al variare delle condizioni di mercato.
L’obiettivo non è conseguire rendimenti superiori agli indici di riferimento ma bensì contenere il rischio, non essere mai strategicamente impreparati di fronte alle fase di correzione e vivere più serenamente ogni fase di mercato.
“Investire nel lungo periodo è una buona idea se sei grande quanto una sequoia, una tartaruga gigante o una fondazione molto capitalizzata, ma gli individui non hanno un orizzonte di venti anni per riprendersi dalle grandi flessioni dei mercati”
(The Ivy Portfolio: How to invest like the top endowments and avoid bear markets di Mebane T. Faber e Eric W. Richardson)
La diversificazione è il primo strumento di mitigazione del rischio per l’investitore. Tuttavia, è storicamente provato come, oltre una certa soglia di strumenti in portafoglio, l’effetto complessivo di mitigazione del rischio diventa marginale.
L’inclusione di ulteriori strumenti finanziari in portafoglio, in assenza di comprovata verifica della capacità degli stessi di migliorare il profilo di rischio dello stesso, è non solo inutile ma potenzialmente incredibilmente dannosa, se inserita in una logica di portafoglio c.d. “compra e tieni”.
Se escludiamo gli strumenti che storicamente presentano il maggior “bias” rialzista, come ad esempio alcuni indici azionari globali, la gran parte degli strumenti finanziari non hanno la tendenza a salire nel lungo periodo. Basti osservare la performance dell’indice italiano FTSE MIB nel periodo 2004 – 2021:
Di fronte ad una flessione come quella della recessione 2008 – 2009 non avrebbe avuto alcun senso attendere una ripresa dell’indice: una ripresa che non si è mai verificata e che avrebbe lasciato l’investitore con una perdita durevole di valore ed un capitale che negli anni successivi non ha generato alcun rendimento. Le medesime considerazioni si possono estendere ad una larga serie di strumenti come azioni, obbligazioni e materie prime.
Persino l’indice S&P500, nonostante la sua storicamente comprovata forza rialzista, in diversi periodi storici è andato incontro a correzioni significative, impiegando anni a tornare sui livelli pre-correzione. Il grafico sottostante è l’S&P500 nel periodo 2000 – 2013. Qualora un investitore avesse allocato il suo capitale sull’indice americano nel Marzo del 2000, avrebbe avuto la possibilità di recuperare pienamente il suo capitale dopo otto anni, salvo poi andare incontro ad un’altra correzione e recuperarlo definitivamente ad Aprile del 2013. Tredici anni per recuperare il proprio capitale iniziale e nessun rendimento.
L’alternativa? Investire in quelle logiche di asset allocation, sia statica che dinamica, che negli anni hanno dimostrato di performare al meglio, includere in portafoglio solo gli strumenti che alla prova dei fatti migliorano il profilo di rischio complessivo del portafoglio, riducendone la volatilità, ed isolare i singoli fattori di rischio del portafoglio, gestendone i riflessi nelle diverse fasi di mercato.
I risultati straordinari naturalmente attraggono attenzione, ma gli osservatori più attenti sanno che il vero segreto del grande successo finanziario della fondazione di Harvard si chiama difesa, difesa e ancora difesa. Ma come, potreste chiedervi, può la sola difesa essere così centrale nel raggiungimento di risultati finanziari così straordinariamente positivi? Partendo dalla storica verità sul successo nel campo della finanza, ossia che quando semplicemente eliminiamo le perdite più rilevanti i risultati vengono da soli, dobbiamo sempre tenere a mente l’importanza dello stare lontano dai guai.
(Charles Ellis, Presidente del Comitato Investimenti, Università di Harvard)
No. Trading ed investing sono due attività profondamente diverse: entrambe utilizzano l’analisi quantitativa come primo strumento di analisi ed approfondimento ma le logiche operative, di costruzione e di gestione dei portafogli sono del tutto diverse. Sfruttare logiche dinamiche di costruzione di portafoglio non implica in alcun modo entrare ed uscire costantemente dal mercato.
Generare rendimenti significativi in mercati rialzisti senza avere una strategia per gestire mercati ribassisti è il più grave degli errori e può portare a distruggere in pochi mesi quanto guadagnato nel corso degli anni.
L’effetto dell’interesse composto (c.d. compounding) è un principio matematico che funziona tanto nella crescita del capitale quanto nella sua erosione.
Supponiamo di avere due portafogli: il primo opera secondo un logica “compra e tieni”, mentre il secondo unisce ad un asset allocation statica una serie di protocolli di asset allocation dinamica, al fine di gestire con buona flessibilità le diverse fasi di mercato:
Portafoglio 1* |
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Anno | Capitale iniziale ($) | Rendimento | Capitale finale ($) |
1 | 200.000 | 20.00% | 240.000 |
2 | 240.000 | 15.00% | 276.000 |
3 | 276.000 | 15.00% | 317.400 |
4 | 317.400 | 20.00% | 380.880 |
5 | 380.880 | -35.00% | 247.572 |
*Scenario ipotetico a scopo illustrativo
Portafoglio 2* |
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Anno | Capitale iniziale ($) | Rendimento | Capitale finale ($) |
1 | 200.000 | 10.00% | 220.000 |
2 | 220.000 | 7.50% | 236.500 |
3 | 236.500 | 7.50% | 254.238 |
4 | 254.238 | 10.00% | 279.661 |
5 | 279.661 | -5.00% | 265.678 |
*Scenario ipotetico a scopo illustrativo
Possiamo osservare che il portafoglio 1 ha realizzato una performance doppia rispetto a quella del portafoglio 2 per quattro anni consecutivi. Nel quinto, tuttavia, la gestione attiva del rischio ha consentito al portafoglio 2 di difendersi meglio e ridurre la perdita complessiva, al contrario di quanto avvenuto per il portafoglio 1, che è impostato in una logica di asset allocation statica. Al termine del quinto anno, il portafoglio 2 avrà non solo sperimentato una minor volatilità complessiva nell’arco dei cinque anni ma avrà anche conseguito un risultato superiore in termini di rendimento assoluto.
Troppo spesso ci si dimentica che il principio dell’interesse composto è un arma a doppio taglio: può operare tanto a nostro favore nelle fasi di rialzo quanto a nostro sfavore in quelle di ribasso.
Questo semplice esempio spiega perché conseguire una performance superiore al benchmark è un obiettivo poco rilevante per l’investitore mentre, ai fini della costruzione e preservazione del capitale, ben altra rilevanza assume avere una strategia di contenimento delle fasi di correzione.
Il nostro cliente tipicamente dispone di un buon capitale accumulato negli anni ed è interessato a proteggerlo dai momenti di inevitabile fragilità dei mercati finanziari, pur volendo partecipare alle lunghe fasi di rialzo che storicamente si osservano sugli stessi.
In aggiunta, egli riconosce l’importanza di avere una corretta impostazione d’investimento per il proprio patrimonio e, al contempo, di disporre sempre di uno o più linee d’intervento sul suo portafoglio in presenza di un mutato scenario di mercato: una opportunità che un sistema di private banking centrato su modelli di asset allocation statica non può offrire.
In linea con quanto previsto dalla legge, il cliente viene classificato rispetto al suo profilo di rischio, al fine di valutare l’adeguatezza delle soluzioni d’investimento proposte.
Una volta definito il quadro di asset allocation strategica rispetto al quale viene costruito il portafoglio, il cliente viene informato di quelle che potrebbero essere le principali soluzioni di aggiustamento tattiche che potrebbero essere proposte, al variare delle condizioni di mercato.
In ogni caso, qualsiasi proposta di cambiamento dell’asset allocation avviene nella logica di ridurre il rischio del portafoglio, o di riportarlo alla sua condizione iniziale. Ogni proposta è quindi sempre in linea con la propensione al rischio del cliente stesso, sulla base delle informazioni rilevanti ricevute dalla società all’inizio dell’instaurazione del rapporto.
Il cliente viene ovviamente messo nella condizione di selezionare strumenti finanziari nell’ambito di un universo d’investimento molto ampio.
Nell’ambito di quest’offerta viene operata una distinzione tra strumenti che storicamente sono fonti di redditività (c.d. growth-oriented assets) e strumenti difensivi (c.d. conservative assets). I primi diversificano sul comparto azionario, per settori e aree geografiche, sulle materie prime, sia singole che su basket delle stesse, e su ETF obbligazionari corporate. Diversamente, gli strumenti difensivi includono ETF obbligazionari governativi, metalli preziosi, strumenti di mercato monetario e liquidità.
Storicamente, abbiamo anche osservato fasi di mercato in cui strumenti rischiosi (azioni) e strumenti difensivi (obbligazioni governative) si sono mossi in maniera fortemente correlata: per questo la definizione di due grandi famiglie di strumenti finanziari, rischiosi e difensivi, consente di avere sempre delle opzioni a seconda delle fasi di mercato, indipendentemente da singoli, magari temporanei, aumenti di correlazione tra singoli strumenti.
Al di là della retorica su quanto sia necessario avere la giusta mentalità per investire sui mercati finanziari, è indubbio che un certo grado di forza mentale sia necessario per vivere serenamente le diverse fasi sui mercati.
Lo studio e la ricerca sugli strumenti finanziari e sulle logiche operative di gestione del capitale sono la base imprescindibile da cui partire ma la disciplina è il terzo pilastro senza il quale nessun piano d’investimento può funzionare.
La disciplina è fondamentale non solo nelle fasi complesse di mercato ma anche in quelle molto costruttive. L’illusione del controllo o l’avidità possono spingerci a ridurre la diversificazione di portafoglio o, ad esempio, a saltare un ribilanciamento di portafoglio: “in fondo, questa posizione (titolo, ETF o qualsiasi altro strumento) sta andando così bene, perché devo vendere? Perché non investire ancora un po’?”
L’analisi quantitativa serve a rimuove larga parte della discrezionalità delle nostre scelte, ricordandoci l’importanza di un approccio strutturato alla gestione del capitale, ma solo l’esercizio della disciplina fa di noi degli investitori razionali e di successo.
DLD Capital mette a disposizione del cliente una vasta selezione di strumenti finanziari sulla base di logiche che ne valutino soprattutto l’opportunità in termini di costo, performance storica, volatilità e grado di correlazione con i mercati di riferimento: certamente consideriamo singoli titoli, azionari o obbligazionari, e fondi comuni d’investimento. Tuttavia, è indiscutibile che gli ETF negli anni siano diventati nel tempo uno strumento la cui flessibilità operativa è seconda solo a quella dei futures.
In aggiunta, gli ETF offrono un vantaggio notevole sul piano della diversificazione, in particolare con riferimento agli investimenti sul settore dei titoli a bassa capitalizzazione (small caps) e su quello dei titoli obbligazionari speculativi (high yield).
Sul primo fronte, i titoli a bassa capitalizzazione possono contenere un forte rischio specifico ed un errata valutazione del titolo sul piano fondamentale può portare perdite significative e difficilmente recuperabili. Lo stesso titoli inserito in un ETF avrebbe un impatto decisamente più limitato sul portafoglio. Sul secondo, il vantaggio dell’ETF è ancor più significativo: i titoli obbligazionari speculativi possono andare incontro a forti crisi sul piano della liquidità e a perdite di valore tra l’80% ed il 100%, nel caso di fallimento della società. Persino un evento estremo di questa dimensione diventa molto gestibile nel complesso di uno strumento altamente diversificato come un ETF.
Un portafoglio viene sempre costruito in funzione della propensione al rischio del singolo cliente, in linea con quanto previsto dalla normativa Mifid, che prevede una verifica di adeguatezze delle soluzioni d’investimento proposte. Il nostro modello di asset allocation è strutturato propriamente per poter riflettere in maniera più dinamica e granulare la propensione al rischio dell’investitore, in particolare mediante la quantificazione di parametri che possono essere definiti, ed eventualmente aggiornati, in relazione alla propensione al rischio del cliente.
La grande maggioranza dei modelli di robo-advisory sono strutturati nella forma di una replica di modelli di asset allocation statica, con operazioni di ribilanciamento delle posizioni che avvengono ad intervalli regolari, indipendentemente dalle fasi di mercato.
Al contrario il nostro modello di consulenza, in primis, è strutturato in modo da potere cogliere con maggior grado di dettaglio le necessità del cliente. Secondariamente, i nostri modelli prevedono l’adozione di specifiche modalità di intervento di mitigazione del rischio di portafoglio al mutare delle condizioni di mercato.
Nell’esempio sottostante si può osservare il confronto tra un portafoglio di ETF obbligazionari, costruito con una logica rotazionale che ottimizza i pesi dei singoli ETF in relazione alla volatilità degli ultimi tre mesi, ed il suo benchmark, un ETF obbligazionario governativo con duration compresa tra 15 e 30 anni. Su un orizzonte di circa 14 anni (2007 – 2021) possiamo osservare come portafoglio sovraperformi per un lungo periodo il benchmark ma, soprattutto, presenti una volatilità nettamente inferiore: nello specifico la deviazione standard del portafoglio sul periodo considerato è pari al 3.9% annuo, mentre quella del benchmark è pari al 9.8%. In termini di remunerazione del rischio, il portafoglio batte il benchmark sotto tutte le metriche di riferimento (maximum drawdown, Sharpe Ratio, deviazione standard e rapporto tra profitto e maximum drawdown).
Una miglior remunerazione del rischio assunto si traduce in due vantaggi immediati: in primis, in una minor oscillazione del portafoglio a parità di rendimento e, secondariamente, una limitazione del rischio di effettuare riscatti dalla posizione in momenti in cui la stessa è in forte sofferenza. In questo senso, il confronto grafico è molto chiaro.
*Scenario ipotetico a scopo illustrativo. Capitale iniziale: $1.000.000. Questo backtest non considera l’impatto dei costi di transazione. Le performance passate non sono indicative dei risultati futuri.
Consulenza finanziaria integrata
Le Società di Consulenza Finanziaria, o SCF, sono società autorizzate a svolgere la consulenza in materia di investimenti senza detenere fondi o titoli, i quali restano nella esclusiva disponibilità dei clienti. Possono assumere la forma giuridica di società per azioni (S.p.A.) o di società a responsabilità limitata (S.r.l.).
Il presupposto della loro attività è la regolare iscrizione all’albo dell’Organismo di Vigilanza e tenuta dell’albo unico dei Consulenti Finanziari (OCF), in presenza di specifici requisiti di professionalità, onorabilità, indipendenza e di precisi requisiti patrimoniali.
La società di consulenza finanziaria viene remunerata esclusivamente dai clienti per conto dei quali svolge la consulenza in oggetto e gli è espressamente preclusa qualsiasi forma di beneficio e/o onorario da un soggetto diverso dal cliente (c.d. modello a “parcella”)
In misura maggiore rispetto a quanto si osserva in altri paesi europei, gli investitori italiani sono penalizzati da un’industria del risparmio gestito ancora fortemente concentrata nell’offerta di prodotti c.d. a “gestione attiva”. Questi prodotti presentano un profilo di costi decisamente significativo, come evidenziato dal report della European Securities and Market Authority (ESMA) nel 2020: Performance and Costs of Retail Investment Products in the EU.
Il report evidenzia il maggior costo applicato sugli investitori al dettaglio rispetto a quelli istituzionali per i prodotti azionari ed obbligazionari:
Parimenti l’analisi evidenzia l’incapacità di questi prodotti di giustificare i costi con le performance generate:
“Concentrandosi sulla distribuzione e la dispersione dei costi, indipendentemente dal tipo di gestione, questi non corrispondono a performance più elevate, ossia non si osserva alcuna correlazione tra costi del fondo e la sua performance. Per i fondi azionari attivi, i costi sono stati in media tra l’1% e il 3%, indipendentemente dalla performance annua lorda”.
Sul piano geografico, il report evidenzia inoltre come l’Italia sia uno dei paesi meno competitivi sul piano dei costi:
“Indicativamente, tra le giurisdizioni sono osservabili differenze in termini di livelli di costo per lo stesso tipo di canale distributivo. Ad esempio, concentrandosi sui fondi azionari, i distributori bancari addebitano costi più elevati in Italia e Grecia, rispetto a Finlandia, Malta o Slovacchia…. In media in Italia i costi sembrano essere più alti nel confronto con gli altri dodici paesi per i quali sono disponibili i dati”.
Lo stessa ricerca evidenzia la costante crescita degli ETF, ossia di prodotti ad indicizzazione passiva, i cui costi si aggirano intorno allo 0.1% – 0.3% annuo.
Gli ETF sono strumenti che replicano passivamente l’andamento di uno strumento finanziario e, oltre a presentare un profilo di costi di circa l’80-90%% inferiore rispetto ai prodotti attivi, consentono una flessibilità operativa all’investitore impensabile con molti prodotti attivi.
In conclusione, al netto della parcella da riconoscere alla SCF, il ricorso ad una serie di prodotti più efficienti, che comprende ma non si limita agli ETF, consente al risparmiatore di conseguire da subito risparmi netti molto significativi in termini di costo di gestione del portafoglio.
Ci vorrebbe un amico
A questo mondo c’è sempre da imparare, soprattutto da chi ne ha viste più di te. Questa settimana Jason Goepfert, uno dei fondatori di Sentiment Trader (@SentimentTrader) ha twittato:” Questo è probabilmente il mercato più brutale che abbia mai incontrato in 30 anni di vita da investitore e in 80 anni di dati analizzati. Gli anni 30 negli Stati Uniti sono stati i più difficili e forse gli anni 70 possono essere comparabili in questo senso. Tuttavia, in termini di distruzione del valore e mancanza di alternative d’investimento, questo mese sarà considerato tra i peggiori di sempre per un investitore.”
La scorsa settimana avevamo registrato come, se l’anno si concludesse oggi, tanto l’azionario quanto l’obbligazionario chiuderebbero in negativo: una assoluta eccezionalità statistica negli ultimi 40 anni, che ha letteralmente messo in ginocchio l’antica decorrelazione che esisteva tra azionario ed obbligazionario, in particolar modo se vista nel contesto della relazione tra mercato azionario americano e andamento dei Treasuries. La semplice osservazione grafica delle correzioni dell’S&P500 negli ultimi 15 anni mette in luce come, in questo caso, l’esposizione obbligazionaria non abbia in alcuno modo aiutato gli investitori nel trovare un contenimento della flessione sperimentata sul mercato azionario.
Una domanda che mi viene spesso posta è se, e in che misura, un fenomeno simile poteva essere previsto. La risposta, ovviamente, è no ma, certamente, si potevano progressivamente mettere in atto alcuni accorgimenti: su tutti, all’accelerare della volatilità e della correzione sull’obbligazionario, si poteva ridurre la duration del portafoglio e, al contempo, spostarsi sui segmenti meno rischiosi del comparto. Non basta predicare la flessibilità nelle scelte operative: è necessario che sia tempestivamente implementata.
L’altra domanda è quanto durerà questa correzione e fino a dove si estenderà. In questo campo le categorie di professionisti si dividono in due: quelli che ammettono di non saperlo e mettono in atto delle misure attive di contenimento del rischio e quelli che, pur ammettendo di non saperlo, sanno in anticipo che un giorno tutto finirà e presto tornerà il sereno. Tuttavia, per quanto si scelga di coltivare l’ottimismo, non c’è modo di sapere durata ed estensione di una correzione e ancor di più di un mercato “orso”: nel marzo del 2020 sperimentammo una violenta correzione del mercato azionario globale, salvo recuperare i massimi del 2019 dell’S&P500 solo quattro mesi dopo, ad agosto. La correzione più simile a quella del marzo 2020 è quella dell’ottobre 1987: in quel caso, tuttavia, il recupero fu più lento e furono necessari oltre due anni per recuperare i livelli precedenti al crollo. Di seguito altri esempi in questo senso:
Conclusione: l’impossibilità di prevedere alcuni fenomeni sui mercati deve diventare la forza di un investitore e non, come sembrerebbe, la sua limitazione. I mercati si muovono in funzione di dinamiche probabilistiche e questa consapevolezza deve spingerci a godere, meglio se a mercati chiusi, la bellezza delle giornate serene, accettando che un bear market potrebbe essere dietro l’angolo e che, nel caso, deve essere affrontato con un piano di contingenza preliminarmente strutturato.
Restando sul tema, ma muovendoci su un piano più operativo, la settimana che si è appena conclusa ha visto la chiusura in negativo dei principali indici azionari, con la formazione di nuovi minimi di periodo, con la sola eccezione del Russell 2000. S&P500 e Nasdaq sono ad un battito di ciglia da un drawdown da inizio anno rispettivamente del 20% e del 30%.
Alla luce anche delle evidenze storiche appena citate, la distinzione tra mercato in correzione è tutt’altro che banale, soprattutto a fronte di un mercato obbligazionario che lascia poche alternative ad un sell-off che spinga gli investitori in liquidità. In aggiunta, bisogna tener conto del quadro di volatilità in cui operiamo: sfortunatamente, questa correzione è avvenuta in condizioni di volatilità nel complesso contenute. Come osserviamo nel grafico sottostante, la maggior parte delle correzioni degli ultimi venti anni è avvenuta in presenza di livelli di volatilità ben più elevati di quelli attuali. Conseguentemente, il mercato potrebbe non aver ancora sperimentato i livelli di volatilità massimi nel quadro di questa correzione.
Tra le altre relazioni che hanno valenza segnaletica di condizioni di stress di mercato, anche il rapporto tra Oro e Rame è su livelli piuttosto contenuti rispetto ad altre fasi storicamente difficili per i mercati azionari.
Sul piano settoriale, permane la sovraperformance del comparto value, come evidenziato dal rapporto tra il Nasdaq 100 (invesco QQQ Trust) ed il Vanguard Value ETF, che ha rotto al rialzo la media mobile a 50 mesi, ossia 4 anni: circostanza osservata negli ultimi quindici anni solo nel 2013 e nel 2009.
Ancor più nello specifico, da diverse settimane osserviamo la sovraperformance del comparto dei consumi di base rispetto al mercato nel suo complesso e a settori ad alta crescita, come quello tecnologico: il fenomeno non sorprende, essendo nota la capacità dei consumi di base di essere uno dei settori più difensivi e meglio performanti nelle fasi di correzione.
Tuttavia, la notizia negativa è che la settimana che si è appena conclusa è stata molto difficile per il settore Consumer, con le trimestrali di Walmart e Target che hanno innescato uno dei sell-off più severi degli ultimi decenni per questi titoli, citando problemi sulla catena di approvvigionamento e sui costi delle materie prime. In questo senso, l’ultimo Earnings Insight di Factset ci illumina sulle difficoltà del settore, con un earning surprise medio negativo per i Consumer Staples nell’ordine del 23% nel primo trimestre del 2022: unico tra i settori dell’S&P500.
L’ovvia riflessione è che non è esattamente confortante in questa fase ruotare le posizioni azionarie sul settore tradizionalmente più difensivo e scoprire che è quello maggiormente esposto ai rischi macroeconomici di questa fase, ossia inflazione e strozzature della catena di approvvigionamento.
Ancor meno incoraggiante è osservare come, settore tecnologico a parte, i settori che hanno registrato le maggiori revisioni al ribasso delle stime di utile per azione per il 2022 sono quello industriale, i consumi di base e quello sanitario. In altri termini, se progressivamente venisse a mancare la fiducia degli investitori anche sui settori storicamente più difensivi, i mercati azionari potrebbero non aver ancora visto i minimi di questa fase.
Chiarito che i mercati azionari hanno registrato l’ennesima, per la precisione la settima, settimana consecutiva in rosso, alcune indicazioni interessanti vengono invece dal comparto obbligazionario. Nello specifico, il Treasury a dieci anni, dopo essersi avvicinato all’area del 3,2%, ha chiuso la settimana in flessione, intorno al 2,79%.
Ancor più interessante è notare come, nelle ultime due settimane, si sia tornati ad osservare l’antica decorrelazione tra azionario ed obbligazionario, con l’S&P500 che nelle ultime cinque sedute ha perso il 3,01% mentre la parte a medio e lungo termine dei Treasuries USA hanno registrato un guadagno nell’ordine del 1,2% (IEF)e2,18% (TLT).
Siamo di fronte ad un minimo dell’obbligazionario, magari come forma di hedging da parte di quegli investitori che stanno lentamente entrando sulle correzioni dell’azionario? Sicuramente è presto per dirlo ma è necessario continuare a monitorare attivamente questi livelli.
Infine, è giusto sviluppare alcune considerazioni fondamentali sulla politica monetaria della Fed, e delle banche centrali in generale, alla luce delle recenti dichiarazioni di Jerome Powell, circa la determinazione della Fed in materia di contrasto all’inflazione.
Negli ultimi 15 anni i mercati finanziari si sono abituati ad avere banche centrali non solo molto “market friendly” ma chiaramente orientate a prevenire fenomeni di instabilità dei prezzi degli asset finanziari. In questo senso, non deve stupire che ogni minimo significativo sui mercati azionari, negli anni passati, sia stato preceduto da annunci delle banche centrali: dal “whatever it takes” di Mario Draghi, fino agli interventi di stimolo monetario a fronte delle crisi che si sono succedute. Il tutto con il solo obiettivo di supportare la liquidità del sistema finanziario. Questo stato di cose oggi è cambiato: la Fed, al pari delle altre banche centrali, ora deve fronteggiare l’inflazione e, fintanto che questo stato di cose non cambierà, non è realistico pensare che oggi la politica monetaria supportate l’ennesimo repricing degli asset finanziari.
In conclusione, i mercati finanziari avrebbero bisogno di un amico: sia questo nelle forme di un’outlook economico e societario in miglioramento, di banche centrali che tornino ad essere almeno in parte più accomodanti, di un’inflazione in progressivo riassorbimento o, infine, di una più positiva evoluzione del conflitto in Ucraina. Un miglioramento anche solo di uno di questi elementi fronti potrebbe verosimilmente fare la differenza tra un mercato in correzione ed un bear market.
“Non ho mai intervistato un gestore di fondi che abbia affermato di non aver mai commesso errori: molti di loro lo ammettono in principio, il che non è male. Ogni grande gestore di fondi, con cui abbia parlato, tende solo parlare dei suoi errori. C’è una grande umiltà in tutto ciò.
Stanley Druckenmiller
Disclaimer:
Questo documento assume natura educativa e non può essere considerato attività di consulenza finanziaria indipendente. L’autore o DLD Capital SCF S.r.l. non sono responsabili delle decisioni che potrebbero essere intraprese a seguito della lettura di questo articolo. Prima di assumere scelte d’investimento, suggeriamo di rivolgervi ad un consulente finanziario iscritto all’Organismo di vigilanza e tenuta dell’albo unico dei consulenti finanziari (www.organismocf.it).